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Roma, poesia e pittura del Barocco in dialogo alla Galleria Borghese
Arte antica
La Galleria Borghese di Roma è una dimora storica dove pittura, scultura, mito e poesia si intrecciano da sempre, dando vita a un Museo che continua a suscitare “maraviglia”. Fino al 9 febbraio 2025 sarà possibile fruire nei suoi saloni affrescati, abitati dalla statuaria antica e da magnifici dipinti di grandi Maestri, la mostra Poesia e Pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione. La rassegna, curata da Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza, si pone come un’immersione nella stagione d’oro del Barocco.
Articolata in cinque sezioni che esplorano opere e fasi creative del sommo poeta Giovan Battista Marino, legato a Caravaggio, tra gli altri, da un rapporto di stretta amicizia. Fu proprio il Merisi, al quale come è noto, è dedicata in Galleria un’intera sala, che il poeta si ispirò per diverse delle sue composizioni. Attraverso pregiati capolavori di Tiziano, Raffaello, Tintoretto, Correggio, Carracci, Rubens e Poussin, l’esposizione approfondisce le intersezioni, i nessi, le sottili rimembranze in filigrana esistenti tra poesia e pittura, sacro e profano, arte e potere nel barocco Seicento.
La mostra offre, inoltre, un’anteprima del nuovo allestimento della Pinacoteca che include interventi strutturali, miglioramenti estetici e riflette un’attenzione particolare all’accessibilità per migliorare l’esperienza del pubblico.
Ut pictura poesis
La locuzione latina “ut pictura poesis” che letteralmente si traduce “come nella pittura così nella poesia”, trova origine nel verso del lirico greco Simonide di Ceo (VI sec. a.C.), riportato da Plutarco, che afferma: «La pittura è poesia muta, la poesia pittura parlante». Un concetto estetico raffinato che, connesso a filo doppio con l’ekphrasis e l’iconologia, ha attraversato i secoli fino a toccare i nostri giorni. Giovan Battista Marino (1569-1625), colto e vivace uomo di cultura, ha saputo incarnare appieno lo spirito del suo tempo, facendo proprio il principio dell’ut pictura poesis. Collezionista e frequentatore di artisti, Marino, benché fosse uomo di fede, si distinse anche per le sue opere licenziose.
La Direttrice della Galleria, Francesca Cappelletti, ha sottolineato il forte legame tra la poesia e le opere presenti nelle Collezioni Borghese. La primissima descrizione della raccolta Borghese, risalente al 1613, fu infatti scritta in versi. Si tratta del poemetto encomiastico dedicato al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, steso per mano del poeta Scipione Francucci, che definì l’allora papa regnante, Paolo V “gran Zio”, stimandone le virtù morali.
Dopo Francucci, la Galleria apre le sue porte a Marino, noto non soltanto per il suo scandaloso Adone, ma anche per opere come La Galeria (1619), interamente dedicata alle arti. La mostra mira a porre in dialogo le diverse forme d’arte, ponendo in luce come Marino considerasse la meraviglia quale obiettivo e finalità propria di tutte le arti. Peculiare, in questo senso, è l’olio di Francesco Furini del 1626, carissimo al Poeta, che ritrae le personificazioni di Pittura e Poesia: due donne, con un pizzico di malizia si scambiano un bacio sulla guancia, affiancate da un cartiglio che recita: “Concordi Lumine Maior”, ossia “Più grandi attraverso una luce concorde”.
Il percorso espositivo
Il percorso di mostra comincia con un’introduzione sui nessi tra Marino, il Rinascimento e il periodo Barocco, proprio a partire dal suo poema La Galeria. Una raccolta di 624 componimenti dedicati ad altrettante opere d’arte. Tra queste si possono ammirare le fatiche di Correggio, Tiziano e Cavalier d’Arpino, il ritratto del poeta realizzato da Frans Pourbus, le opere di Guido Reni e Giovanni Battista Paggi. L’iter prosegue, poi, con un focus sul mito di Adone, sul quale Marino si è soffermato per tutto l’arco della sua carriera, con sorti sfortunate: pubblicato nel 1623, fu messo all’indice nel ‘27.
Questa sezione della mostra offre allo sguardo del pubblico opere di Palma il Giovane e Scarsellino, culminando con la Apoteosi del Poeta nel Regno di Flora di Poussin, artista che il poeta Marino conobbe in Francia, quando, esiliato dall’Italia, trovò rifugio alla corte di Luigi XIII e Maria de’ Medici. I versi autografi del poeta insieme a preziose pubblicazioni e volumi seicenteschi sotto vetro, posti accanto alle opere, mettono a fuoco, in maniera ancor più stringente, il rapporto tra i suoi versi e i dipinti che li rispecchiano, in un gioco continuo e fittissimo di rimandi visivi e testuali.
Fin dall’antichità, il rapporto tra poesia e pittura, ha generato dibattiti. Il poeta romano Orazio, ad esempio, aveva rilevato come la poesia possa evocare immagini vivide e la pittura raccontare storie. Una commistione che si intensificò durante l’Umanesimo, quando s’intendeva l’essere umano plasmatore di effigi, come Dio lo fu per la Creazione.
La pubblicazione del trattato De pictura di Leon Battista Alberti, nel XV secolo, segnò un momento cruciale nel riconoscimento della pittura come disciplina umanistica, venendo a dialogare con l’historia e la compositio. Ogni elemento visivo, secondo l’Alberti, aveva un ruolo chiave. Nascevano, o rinascevano così, infoltendosi nel Seicento, i fasti delle allegorie, figure testuali o immagini in versi, cui Giovan Battista Marino, in convito con il tocco dei Maestri barocchi, ridà lustro in questa “maravigliosa” esposizione.