È stata presentata questa mattina una “nuova” opera attribuita a Rembrandt, un dipinto a olio su carta applicata su tela, tornato alla luce nel corso di un restauro. Il ritrovamento è stato annunciato nel corso di un simposio tenutosi all’Accademia di Francia di Villa Medici, a Roma, alla presenza di studiosi ed esperti a livello internazionale, promosso da FPI – Fondazione Patrimonio Italia, ente non-profit presieduto da Guido Talarico. L’incontro rientra nell’ambito del più ampio progetto “Discovering Masterpiece”, un’iniziativa della stessa Fondazione che ha l’obiettivo di promuovere momenti di intesa culturale e scientifica, in Italia e all’Estero, per lo studio e la divulgazione dei capolavori dell’arte italiana e internazionale appartenenti a collezioni italiane.
«Dare il via al progetto “Discovering Masterpiece” con il ritrovamento di un capolavoro assoluto di uno degli artisti più amati di tutti i tempi è motivo di grande orgoglio per la nostra Fondazione, nata con l’obiettivo di valorizzare le collezioni private italiane proponendo un nuovo approccio nei confronti del collezionismo», ha dichiarato Talarico. «L’intento è quello di condividere con il grande pubblico opere talvolta inedite, come in questo caso, lasciandole in Italia con l’obiettivo di sensibilizzare il nostro Paese sull’immenso potenziale di uno dei suoi asset di punta, quale il proprio patrimonio artistico-culturale, come volano di crescita economica», ha continuato il presidente di FPI.
Secondo l’attribuzione, dunque, il dipinto sarebbe una versione dell’Adorazione dei Magi, eseguita da Rembrandt tra il 1632 e il 1633. Un’altra versione, in grisaille, una tecnica monocroma che prevede l’utilizzo di vari toni di grigio, è conservata al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo. Le due opere sono molto simili, differiscono per l’uso del colore e per alcuni particolari. Peraltro, quella di San Pietroburgo, che faceva parte della collezione del principe Ivan Fëdorovič Paskevič, è stata esposta anche in Italia, alla Pilotta di Parma, nel 2019, per i 350 anni dalla morte del maestro dell’arte olandese.
Il dipinto italiano, invece, è stato scoperto a seguito di un trauma accidentale che, nel 2016, ne ha reso necessario il reintelaggio. Solo allora, la restauratrice Antonella Di Francesco, intenta al recupero e alla pulizia dell’opera annerita dall’antica vernice, si è resa conto di avere un probabile capolavoro tra le mani. «Nel corso del mio lavoro può capitare una delle cose più belle della vita: la coscienza improvvisa di essere davanti ad un’opera di un autore molto grande che ti si rivela, che esce dalla sua zona opaca e ti sceglie per essere riscattato dall’oscurità», ha affermato di Francesco. «È questo il momento in cui bisogna vincere le vertigini capaci di farci sprofondare in quel meraviglioso senso di appartenenza alla storia. È un brivido che non ha pari, che vibra fino a trascinarti in un impulso irrefrenabile di morbosa curiosità. Non lo combatto e mi lascio portare dentro all’incantesimo».
La tecnica tipicamente usata dal maestro olandese negli anni ’30 del ‘600, con cui l’opera è stata realizzata, le sue dimensioni, 54 x 44,5 centimetri, le stesse di una serie di incisioni di Rembrandt relative alla Vita e alla Passione di Cristo, sono alcuni degli elementi che ne sosterrebbero l’attribuzione. Inoltre, grazie all’utilizzo delle tecnologie diagnostiche a radiazioni infrarosse, sono stati riportati alla luce anche i disegni preparatori sottostanti alla vernice.
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