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Uno spettacolare Perugino torna a casa, con lo zampino di Raffaello
Arte antica
Il Perugino di San Pietro torna per la prima volta a casa, nell’omonimo complesso monumentale in Borgo XX Giugno, a Perugia, in una mostra assolutamente senza precedenti ospitata nella Galleria Tesori d’Arte di San Pietro fino 7 gennaio 2024. L’iniziativa riporta nel capoluogo umbro una parte importante della grande opera che Perugino aveva dipinto per la vicina basilica, ed è promossa dalla Fondazione per l’Istruzione Agraria e dall’Università degli Studi di Perugia, con il contributo del Comitato promotore delle celebrazioni per il quinto centenario della morte del pittore Pietro Vannucci detto “il Perugino”, attraverso il fattivo contributo dell’Ambasciata francese in Italia, su richiesta del consolato onorario francese in Umbria, che ha permesso il rimpatrio provvisorio di alcune parti dell’opera originaria oggi patrimonio di alcune cittadine d’oltralpe.
Nella mostra perugina, inaugurata a inizio ottobre sotto la curatela di Laura Teza, professoressa associata di Storia dell’Arte moderna dell’Università degli Studi di Perugia, e realizzata con il Musée des Beaux-Arts di Rouen e i Musei Vaticani – il patrocinio della Regione Umbria, del Comune di Perugia e la collaborazione di Isola San Lorenzo, Comune di Città della Pieve e Fondazione Ranieri di Sorbello – vengono per la prima volta riunificati tutti e undici gli scomparti della predella: l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione e il Battesimo vengono dal Museo di Rouen, e sono tra i dipinti più spettacolari dell’intera carriera di Perugino, con colori, una resa delle forme e del paesaggio, sorprendenti per luminosità e modernità.
I tre santi benedettini sono stati restaurati per l’occasione nei Laboratori di Restauro della Pinacoteca Vaticana, recuperando una luminosità e un’armonia di gamme cromatiche che si pensava perduta. I cinque rimasti a Perugia sono stati riesaminati e sottoposti ad indagini da parte del Laboratorio di Diagnostica dei Beni Culturali della Regione Umbria di Spoleto. Lo studio interdisciplinare, con il gruppo di lavoro delle professoresse Valeria Menchetelli e Francesca Funis del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università degli Studi di Perugia, ha prodotto uno studio di ricostruzione digitale della grande macchina d’altare che era collocata nell’abside, cioè nella zona dietro l’attuale altare. Chi entrava in Chiesa poteva godersi il grande spettacolo dell’Ascensione di Cristo in pieno svolgimento difronte ai suoi occhi. Ma non è tutto.
All’interno dell’esposizione vengono anche esposti i contratti che regolarono la trattativa tra i monaci di San Pietro e il pittore per quest’opera, pagata la stratosferica cifra di 560 ducati d’oro, e le copie che di questa predella fece il noto pittore seicentesco Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, che lavorò per un importante abate di San Pietro, don Leone Pavoni, a testimonianza del grande valore attribuito a queste opere capitali del Rinascimento italiano. Nel 1495 i monaci benedettini della basilica di San Pietro ordinarono al Perugino – al secolo, Pietro Vannucci – una grandiosa Ascensione di Cristo per il loro altare maggiore, coronata da un Eterno benedicente con alla base una predella con 11 scomparti, raffiguranti al centro l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione e il Battesimo, e ai lati sei santi benedettini e i due protettori di Perugia, san Costanzo e sant’Ercolano.
Racchiusa da una specie di armadio aperto che la proteggeva e che aveva alla sua sommità due grandi tondi con profeti, l’opera costituiva un vanto della città e del territorio per la sua complessità e bellezza. La gigantesca macchina fu smontata alla fine del Cinquecento e poi, nel 1797, emigrò con le requisizioni napoleoniche e fu trasferita prima a Parigi e poi frazionata e dispersa in vari musei francesi. Ora la grande Ascensione si trova a Lione, la predella nel museo di Rouen, i due Profeti a Nantes, tre santi benedettini alla Pinacoteca Vaticana mentre cinque sono rimasti nella sacrestia di San Pietro a Perugia.
E ora, attraverso la mostra perugina e grazie allo sforzo dei vari soggetti coinvolti sopra menzionati, una parziale ricostruzione dell’opera originaria è finalmente possibile da mostrare, ma soprattutto da studiare: considerando che il team di studiosi coordinato dalla professoressa Teza, è riuscito a ricostruire la vera storia dell’opera originaria che viene proposta in anteprima nell’esposizione. Con qualche ulteriore dettaglio e approfondimento. Sì, perché dagli studi condotti sull’opera originaria emerge con chiarezza che una parte più che significativa dell’opera – che non a caso prende il largo nel catalogo che accompagna la mostra – viene attribuita (scientificamente parlando) a Raffaello, che appena quindicenne aveva partecipa all’opera del Perugino, prima ancora di essersi affermato, comunque giovanissimo, nel firmamento pittorico italiano e rinascimentale.