20 marzo 2025

30 anni di arte sul campo: intervista al gallerista Giorgio Gaburro

di

Due sedi, 50 artisti rappresentati, più di 90 mostre e il traguardo dei 30 anni: con Giorgio Gaburro parliamo della sua attività di gallerista e delle prospettive future, in un mondo post-globalizzato

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Due sedi, a Verona e Milano, 500 opere in archivio, 50 artisti (20 attualmente rappresentati), oltre 90 mostre di cui 25 in sedi museali, 30 curatori coinvolti e 40 pubblicazioni. Fondata nel 1995 da Giorgio Gaburro, collezionista e mercante d’arte, e co-diretta dal 2020 dalla figlia Cecilia, il prossimo 25 marzo la Galleria Gaburro celebra l’importante traguardo dei 30 anni. Per l’occasione abbiamo intervistato il suo fondatore.

Giorgio Gaburro

Mi tracci un tuo excursus professionale come gallerista?

«La mia carriera da gallerista è iniziata nel 1995 quando ho deciso di aprire la galleria con un amico, pur non avendo una formazione accademica nel settore. La mia passione per l’arte è sempre stata molto forte. Ho sentito che dovevo seguire questa mia inclinazione nonostante provenissi da un contesto imprenditoriale completamente diverso. Ho iniziato da autodidatta, ho imparato sul campo, confrontandomi con esperti e galleristi di una certa esperienza.

La nostra prima mostra, per dirti, è stata un disastro: avevamo acquistato delle opere di Dalì, che si sono rivelate dei falsi e perciò non abbiamo potuto venderle. Dopo un paio d’anni mi sono trasferito a Verona, dove abbiamo iniziato a lavorare sul serio. Uno dei miei punti di riferimento, in quegli anni, è stato Emilio Mazzoli, che non solo mi ha guidato, ma anche incoraggiato a proseguire su questa strada. Così, nel 2021, abbiamo aperto a Milano, insieme a mia figlia Cecilia, per valorizzare l’impegno dell’intera famiglia. Avevamo già tanti collezionisti che premevano per una sede più centrale e nevralgica».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Quali sono le caratteristiche del tuo spazio espositivo? 

«Attualmente le sedi, per l’appunto, sono due, Verona e Milano. Ciascuna rispecchia l’obiettivo che quello specifico spazio si vuole preporre: la galleria di Verona è uno spazio integralmente ristrutturato realmente in centro, a due passi da piazza Bra. Un loft su due piani, uno spazio per l’arte con un giardino privato interno che ne modifica la percezione: dal tradizionale white cube, questo cortiletto, perfettamente in linea con l’architettura di Verona, crea un contrasto che ho sempre trovato interessante. Le ampie vetrate e i soffitti alti permettono di ospitare anche installazioni complesse e progetti ambizioni.

La sede milanese, invece, è uno spazio libero, senza pareti interne, che si distingue per l’essere intimo e raccolto. La struttura è di circa 250mq in via Cerva (affianco a piazza San Babila), una via altrettanto intima del centro città in cui, però, il passaggio è notevole. Delle grandi vetrine danno direttamente sulla strada, incuriosendo anche gli spettatori meno esperti. Essendo uno spazio sicuramente non semplice da utilizzare, preferisco concepire ciascun progetto con gli artisti, in modo da massimizzare l’interazione con il luogo, con le opere, e con il pubblico.

Grazie a mia figlia Cecilia, inoltre, la galleria è diventata il fulcro per diverse iniziative con realtà di beneficenza, moda e design, per cui concepiamo la galleria come un organismo aperto che deve assorbire il sostrato culturale del luogo in cui è inserita».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Quali sono gli elementi distintivi della tua programmazione espositiva?

«Credo nella qualità e nella profondità del dialogo artistico, piuttosto che nella quantità. Non mi interessa fare tante mostre o dimostrare – a chi, poi? – di avere una programmazione densa e precisa. Una vera programmazione è complessa da strutturare dal momento in cui ho sempre cercato di maturare progetti in uno strettissimo dialogo con gli artisti, con i curatori e con le istituzioni.

Ho sempre lavorato con grandi maestri dell’arte contemporanea, come Hermann Nitsch e Daniel Spoerri, che ci hanno lasciato un’eredità straordinaria. Con loro ho avuto il privilegio di esplorare forme d’arte che sfidano i confini dei medium tradizionali: penso alla performance di Hermann Nitsch, organizzata nel 2016 nell’Auditorium della Gran Guardia con l’orchestra dell’Arena di Verona.

La programmazione della galleria cerca di mettere in evidenza il legame tra maestri storici e nuovi talenti, creando un hub che possa alimentare la ricerca artistica e ne permetta l’evoluzione».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Cosa vuol dire operare da gallerista di contemporaneo a Milano?

«Lavorare nel capoluogo lombardo significa confrontarsi con un contesto altamente competitivo, ma risulta essere un’opportunità unica, vista la centralità della città nel panorama dell’arte contemporanea internazionale. La città rappresenta un terreno fertile per chi vuole costruire, tra le sue complessità, un progetto di galleria d’arte che si distingua per qualità, visione e capacità di interazione con un pubblico internazionale.

Milano è una città unica nell’offre una fitta rete di stakeholders, tra cui art advisors, dealers, PR, collezionisti e investitori, che possono supportare il gallerista nella costruzione di relazioni, nella promozione degli artisti e nell’orientamento al mercato.

Con un numero di gallerie che si avvicina a quello di Parigi, le gallerie a Milano devono affrontare sfide sicuramente insidiose e complesse. Non fare ricerca o elaborare progetti grossolani, qui, non è ammissibile. La credibilità è uno di quei principi di cui sono fortemente convinto e che cerco di perseguire, ogni giorno, con la mia professionalità.

Negli ultimi anni, inoltre, l’ingresso di realtà straniere, attratte da vantaggi fiscali come la flat tax, ha reso ancora più affollato lo scenario. Questo significa che i galleristi locali devono non solo competere con gli operatori italiani, ma anche con realtà internazionali che portano con sé risorse e reti consolidate».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Quale sarà, a tuo avviso, in questo momento storico di post-globalizzazione il ruolo della galleria intesa come spazio fisico?

«Sicuramente, si tratta di un momento di profonda crisi del mercato. Un cambiamento radicale che credo possa portare soltanto ad una scrematura positiva in cui la qualità possa soppiantare la quantità o il trend. In ogni cambiamento c’è sempre un’opportunità. Con la globalizzazione, diverse culture sono entrate in contatto, garantendo un ricircolo e un ricambio costante e preciso all’interno delle singole nazioni-monadi.

Post-globalizzazione, forse, un po’, abbiamo fatto un passo indietro. Io credo e continuerò a credere sempre nello spazio fisico della galleria, perché è il primo modo per costruire dei veri e propri progetti sperimentali.

In Italia abbiamo una certa separazione tra gallerie e istituzioni museali, con una visione spesso riduttiva delle gallerie come entità puramente commerciali. Deve diventare sempre più importante un dialogo costante con il settore pubblico e le istituzioni culturali. Il supporto pubblico non dovrebbe essere visto come un’opzione, ma come una necessità per rafforzare l’intero ecosistema dell’arte contemporanea, creando sinergie che possano promuovere e sostenere le nuove generazioni di artisti».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Come immagini in questo contesto l’evoluzione della professione di gallerista?

«Tutte le professioni sono sempre in evoluzione, così come deve esserlo il gallerista. Credo, tuttavia, che, necessariamente, debba aumentarne la professionalità. Abbiamo sempre concepito la nostra realtà con un’impostazione realmente aziendale: abbiamo un consulente marketing esterno, un ufficio stampa che ci segue con continuità; dal 1999 abbiamo il nostro sito web, nei primi del 2000 abbiamo sviluppato un app nativa…».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Si tornerà a una maggiore centralità del ruolo della galleria rispetto, per esempio, all’escalation delle fiere?

«Sono sempre stato convinto dell’importanza della Galleria e del lavoro del Gallerista. Il lavoro primario deve essere presentato in Galleria e non in fiera, dove non può e non deve esserci ricerca. Ovviamente le fiere sono aumentate perché è il business della fiera occupare gli spazi e la loro crescente importanza la trovo dannosa e minatoria circa la sostenibilità dell’intero mercato dell’arte – al pari, forse, dell’eccessiva presenza delle case d’asta in Italia. Le fiere sembravano offrire un rendimento immediato, tuttavia mi sorge una domanda fondamentale: quanto è sostenibile nel medio-lungo periodo?

Le fiere dovrebbero rappresentare uno strumento per sviluppare la parte commerciale di una galleria ma negli ultimi anni ho visto come invece possano ostacolare il lavoro stesso svolto all’interno delle gallerie, soprattutto nella selezione degli artisti da esporre. Sono favorevole all’inserimento di una figura curatoriale all’interno del management di una fiera, ma a condizione che questa figura supporti le gallerie, non le ostacoli, dato l’impegno economico che devono sostenere per l’organizzazione legata alla realizzazione dello stand. Addirittura, gli artisti oggi valutano l’efficacia di una galleria principalmente in base alle fiere a cui partecipa, dando meno peso agli altri aspetti del suo lavoro.

Oggi, mi sembra già di vedere iniziare il loro declino: zoppicano, vengono bypassate, molte gallerie (più o meno nuove) scelgono di allontanarsi e di uscire dal circuito fieristico tradizionale. Anche perché i clienti delle fiere, e questo spesso credo se lo dimentichino, sono le gallerie e non i collezionisti o gli artisti».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Quali sono le tue strategie digital? Utilizzi e-commerce o piattaforme dedicate?

«Credo che il digitale non sia un veicolo direttamente commerciale. Certo, le nostre strategie digitali sono sempre state al centro della nostra visione. Siamo stati tra i primi in Italia a lanciare un sito web per la galleria, seguito poco dopo da un’app nativa dedicata. Abbiamo proceduto immediatamente alla sua indicizzazione e lo manuteniamo costantemente cambiandolo in base alle necessità del tempo in cui è collocato.

Crediamo, e l’abbiamo sempre fatto, nell’importanza di sviluppare il canale digitale per ampliare la nostra visibilità e interagire con il pubblico in modo diretto. Un elemento distintivo delle nostre attività è il racconto video, che accompagna ogni nostro progetto. Penso, in particolare, a Liu Bolin, per cui abbiamo sempre prodotto dei video dedicati e specifici per ogni opera per poterne comprendere il contesto e l’aspetto performativo. Noi ci siamo attivati su questo fronte da oltre 15 anni – credo fosse il 2008!

Non credo tanto negli altri portali di e-commerce e piattaforme dedicate, così come non credo nelle fiere! Credo fortemente che la loro impostazione di business non sia compatibile con la nostra. Non escludiamo future opportunità di esplorare nuove piattaforme che potrebbero rappresentare un’opportunità per raggiungere un pubblico internazionale più ampio».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Quali sono gli artisti che rappresenti?

«Non vorrei fare un elenco ma quello che posso dire è che quasi tutti gli artisti che rappresento hanno alla base la performance come elemento centrale del loro lavoro. Se penso a Hermann Nitsch, Daniel Spoerri o Liu Bolin, vedo chiaramente come l’atto performativo unisca le loro opere. Da poco, abbiamo iniziato a collaborare con Jan Fabre, uno dei più grandi maestri esistenti, che sviluppa il suo lavoro in questa duplice dicotomia tra performance teatrale e opere d’arte.

Oltre a questo leitmotiv ricorrente, ho approfondito altri grandi maestri, come Emilio Isgrò e Marco Cingolani, con cui siamo amici da oltre vent’anni, per arrivare ad artisti consolidati come Danilo Bucchi, Iain Andrews e Fabio Giampietro, con cui stiamo maturando altri nuovi progetti…».

Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro
Veduta della mostra Quello che vedete non è né cibo, né arte curata da Matteo Scabeni con opere di Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic, Daniel Spoerri e Malte Zenses. Crediti gli artisti e Galleria Gaburro

Qual è, a tuo avviso, lo stato di salute del sistema del contemporaneo in Italia, nel pubblico e nel privato? Quali ritieni che siano a oggi i suoi punti di forza e i suoi punti deboli?

«Non credo che il sistema dell’arte contemporanea in Italia, soprattutto per quanto riguarda il settore pubblico goda di un’ottima salute! È difficile ignorare che, in una città come Milano, dove si sono sviluppate tutte le principali avanguardie artistiche del secondo dopoguerra, non esista ancora un museo pubblico dedicato esclusivamente all’arte contemporanea. Questa carenza è un segno evidente di come, in ambito pubblico, ci siano ancora molte lacune da colmare.

Tuttavia, questo stesso scenario ci offre anche un’opportunità di crescita: possiamo solo migliorare, e credo che, pur con tutte le difficoltà, ci sia una curva in ascesa, perché la situazione attuale non può che evolvere in meglio. Nel settore privato, invece, la situazione è più positiva.

Le fondazioni d’arte contemporanea, alcune delle quali di respiro internazionale, stanno facendo un lavoro importante per promuovere e sostenere l’arte contemporanea in Italia. Queste realtà contribuiscono a dare visibilità agli artisti emergenti e a rafforzare la posizione dell’Italia sulla scena internazionale, creando un dinamismo che, al momento, non è altrettanto evidente nel pubblico. Un nostro punto debole, rispetto all’Europa, sta nella tassazione.

Mentre in altri Paesi l’IVA è intorno al 5/7%, in Italia è al 22%. Un risparmio del 15% costituisce certamente una sostanziale differenza, considerando che la nostra tassazione è oltre il triplo rispetto alla Germania (7%) e quattro volte più alta rispetto alla Francia, che con la sua IVA al 5% è diventata un punto di riferimento per il mercato dell’arte. L’aliquota IVA rappresenta quindi un vero e proprio ostacolo, creando una sorta di “palla al piede” che si traduce in un problema strutturale anche per le dinamiche di import-export di arte nel nostro Paese».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui