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Accardi e Dadamaino: una coppia alla frontiera dell’astrazione
Arte contemporanea
A pochi passi dagli Champs-Elysées, la sede parigina di Tornabuoni Art ha riaperto al pubblico dopo mesi di chiusura con la mostra “Carla Accardi e Dadamaino: tra segno e trasparenza. Due artiste italiane alle frontiere dell’astrazione”. I due piani della galleria presentano una limitata selezione di opere che spaziano dai primi anni ’50 fino alla fine dei ’90; il piano terra è dedicato alla Accardi, mentre il piano inferiore è lasciato a Dadamaino. Particolare attenzione è stata rivolta alla ricerca sul segno, elemento rispetto al quale entrambe le artiste si sono poste in modo rivoluzionario sin dagli inizi del loro percorso artistico, e al frequente utilizzo di supporti trasparenti, come per i famosi dipinti su sicofoil della Accardi degli anni ’60, o come per la serie Il movimento delle cose realizzata da Dadamaino negli anni ’90 con inchiostro nero su fogli di poliestere trasparente.
Nata a Trapani nel 1924 e riconosciuta come una delle pittrici più importanti della sua generazione, Carla Accardi si è distinta fin dagli anni ’40 per il suo linguaggio visivo unico, definito da Germano Celant come una vera e propria “avventura linguistica e personale” che ha come soggetto la ripetizione sistematica di forme e segni quasi-alfabetici, e che ha visto spesso, da parte della critica, rimandi al Barocco e al Rinascimentale. Dopo essersi trasferita dalla Sicilia a Roma, Accardi è stata fondatrice nel 1947 del gruppo Forma, con gli artisti Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato. La sua carriera artistica può essere letta in periodi distinti: all’inizio degli anni ’60 ha creato la serie Integrazione, caratterizzata da una ricerca monocromatica che studia le relazioni tra colore, segno e sfondo, e nella seconda metà del decennio si è concentrata in particolare sull’uso del sicofoil, un materiale plastico industriale luccicante e trasparente che predilige per il modo in cui recepisce e diffonde la luce, sul quale l’artista dipinge segni di vernice fluorescente.
Negli anni ’70, Accardi si è avvicinata ai movimenti femministi italiani arrivando a fondare, insieme alla scrittrice e critica d’arte Carla Lonzi, il gruppo Rivolta femminile, uno dei primi gruppi femministi italiani e, allo stesso tempo, una casa editrice volta alla decostruzione di idee preconcette sul genere femminile e la sua emancipazione, e a sollevare una serie di questioni sulla relazione tra arte e femminismo. Di Carla Accardi la galleria ha esposto, a fianco delle opere su sicofoil, diversi dipinti su tela concentrati sul binomio segno-colore, tra cui Favoloso su nero n°2 (1954), Assedio rosso n°3 (1954), Viola rosso (1964), Verderosso (1963-70) e il “monumentale” Arancioverde (Lenzuolo) (1972-76).
Sei anni più giovane di Accardi, Eduarda Emilia Maino, conosciuta con lo pseudonimo Dadamaino, è nata a Milano nel 1930. ha iniziato la sua carriera artistica alla fine degli anni ’50 come protagonista di un’avanguardia originariamente costituita intorno allo spazialismo di Lucio Fontana, nella Milano del dopoguerra, che l’ha portata, nel 1957, ad aderire al progetto Azimuth – rivista d’arte e galleria omonima fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani – e al movimento internazionale ZERO, teorizzato da Heinz Mack. La ricerca artistica di Dadamaino si è contraddistinta sin dall’inizio per l’utilizzo del segno, anche in questo caso, come per la Accardi, ripetuto sistematicamente e sviluppato in una scrittura segnica che si concretizza in ondulazioni astratte o tratteggi, di cui copre soprattutto tele e carte bianche.
L’apparizione dell’alfabeto come sistema artistico è apparso originariamente nell‘Inconscio razionale, una serie di quadri toccati da linee automatiche e tratteggiate, guidate dall’inconscio, che l’artista ha definito come “una specie di scrittura della mente, della [sua]”. L’opera Lettera a Tall el Zattar, dal nome del villaggio palestinese massacrato in Libano nel 1976, è stata il punto di partenza per l’Alfabeto della mente, una serie in cui Dadamaino ha ripetuto un segno specifico per ogni opera, sull’intera superficie della carta, la cosiddetta “lettera muta”. In seguito, l’artista si è dedicata alla serie Costellazioni, dove i segni ripetuti diventano quasi dei punti o segmenti brevissimi, disponendosi in modo non lineare nello spazio della composizione, ma aggregandosi e disperdendosi secondo criteri energetici, celesti. La struttura e la geometria hanno poi lasciato il posto a uno svolgimento evanescente che ha dato luogo ai Movimenti delle cose, forme organiche nate dalla moltitudine di segni a inchiostro nero su fogli di poliestere trasparente, alcuni dei quali lunghi fino a 30 m, che l’artista ha disegnato fino alla sua morte nel 2003. Delle serie finora citate Tornabuoni ha esposto, in occasione della mostra, un Inconscio razionale del ‘77, un’installazione composta da diversi elementi di Alfabeto della mente realizzati tra il ’77 e il ’79, un Costellazioni dell’84 e tre diversi esemplari, in diverse forme e su diversi supporti, de Il movimento delle cose, datati ‘95 e ‘96.
Un catalogo accompagna la mostra, pubblicato in francese e inglese dalla casa editrice Forma Edizioni, con testi di Valérie Da Costa, storica dell’arte, curatrice e docente; Margit Rowell, precedentemente curatrice a capo del dipartimento di scultura del Centre Pompidou e in seguito in testa al dipartimento di disegno al Museum of Modern Art di New York; Jean-Pierre Criqui, storico dell’arte e direttore dei “Cahiers du Musée national d’art moderne” ed Elizabeth de Bertier, storica dell’arte. L’esposizione alla Tornabuoni, in programmazione fino al 18 settembre 2021, è stata inaugurata in concomitanza con la retrospettiva di Carla Accardi al Museo del Novecento di Milano e la mostra “Elles font l’abstraction” al Centre Pompidou, a cui la galleria partecipa attraverso il prestito di opere di entrambe le artiste.