È vero, non ci sono l’orologio a pendolo con il pipistrello né lo Slam della porta che si richiude alle nostre spalle, me, scesi i gradini e varcata la soglia dell’AuditoriumGarage, è come ritrovarsi di colpo nel mondo della Batcave della Wayne Manor a Gotham City. E i fasci di luce che proiettano le lettere di An Unguarded Moment, innegabilmente richiamano quelli che, nel cuore della notte, catturano e inquadrano l’ombra e la sagoma di Batman. È proprio la scritta a caratteri cubitali “An Unguarded Moment” -titolo della personale- che immediatamente catapulta lo spettatore in una dimensione di immersione totale, in un’atmosfera notturna, a tratti anche onirica, peculiarità di tutta la produzione comics. Tuffo nella mostra come nelle tematiche centrali dell’intera produzione artistica di Adrian Tranquilli (Melbourne, 1966; vive e lavora a Roma).
L’antologica, curata da Antonello Tolve, parte dai lavori del 1998 con Futuro Imperfetto, e individua le tappe salienti della produzione artistica di Adrian Tranquilli fino a includere lavori più recenti. Allestita, come detto, nell’AuditoriumGarage, uno spazio sotto la guida della Fondazione Musica per Roma la quale, con l’occasione, non solo ha ripristinato e destinato più di mille metri quadri alle esposizioni, ma ha anche ripreso le fila dell’attività di mostre di arte contemporanea che, negli ultimi anni, era stata congelata. La grande mostra si presenta con un allestimento impeccabile, a tratti faraonico, che molto mutua dal teatro e dal cinema, per le luci, le ambientazioni, le atmosfere, e si sviluppa come un racconto che lo spettatore è chiamato a vivere e ad attraversare, percorrendo le nove sale in cui il racconto è stato sviluppato. L’esposizione, alla stessa stregua di tutti i lavori realizzati nel corso dell’attività di Tranquilli, offre al visitatore un viaggio e, soprattutto, una lettura multilivello. Sì, i supereroi che, dagli anni Trenta del secolo scorso, hanno concorso alla creazione dell’immaginario collettivo e, dunque, alla produzione e alla costruzione dell’identità culturale di diverse generazioni di interi Paesi, hanno tuttavia incarnato alcuni stereotipi culturali: il supereroe, maschio, che salva il mondo; un mondo che, alla fine dei conti, è semplice: c’è il bene e il male. Un supereroe consapevole, quindi, del peso del suo ruolo. Una cultura, praticamente, fondata sul mito della forza che, col passare degli anni, sta mostrando, invece, tutta la sua vulnerabilità e fragilità. Quella vulnerabilità che fortemente caratterizza il nostro attuale tempo.
Attraverso cinquanta opere, alcune delle quali (quelle in apertura e in chiusura del percorso espositivo) realizzate per questa esposizione, Adrian Tranquilli mira a creare, come ha sottolineato il curatore, “un’opera d’arte totale”. L’artista, utilizzando media (dalla fotografia alla scultura al fumetto, dall’installazione al video, con forti richiami a tecniche cinematografiche e, soprattutto, alla musica, finalmente messa in stretta relazione col suo lavoro) e meccanismi diversi, puntualmente illustra le inquietudini, le volubilità, le fratture, le non-verità, del nostro presente, soprattutto del mondo occidentale. È questo il “momento incustodito”, il momento di debolezza, di stanchezza, di crisi, soprattutto di coscienza, in cui si abbassa la guardia. Siccome Batman ha sempre gettato un ponte fra la realtà violenta della città e un ideale morale, adesso, anche lui, sta prendendo consapevolezza dell’illusorietà di tante convinzioni e di troppe certezze, trovandosi di fronte ad eventi molto più grandi di lui. Un eroe ormai decaduto, un antieroe, tragico, quasi un comune mortale, immerso nella realtà, non più imbattibile, deciso, convinto, bensì sconfitto, stanco, annichilito, con le proprie debolezze e incertezze. Con quella dualità semplice, che è alla base del fumetto, come dei miti, Tranquilli evidenzia così gli antinomici binomi: eroe/antieroe, ordine/caos, liberazione/immolazione.
Così In Excelsis 1-2-3 (2013) tre candidi Batman, allungati come salde e solide colonne, pur nella loro solidità e irremovibilità dei loro tre metri di altezza, le posture dei loro corpi, del capo, delle braccia, lanciano dei primi indizi, fanno avvertire i primi scricchiolii. Che sembrano trovare conferma in The End of the Beginning (2016), una Torre di Babele spaccata (che automaticamente rimanda a Il Encyclopedico Palazzo del Mondo, ca. 1950, di Marino Auriti) e completamente occupata dalle maschere di Anonymous, un momento di luce, quasi di speranza, per ripiombare poi nel buio degli eventi, come nel buio delle successive sale. Ecco allora la sagoma di un angelo che si confronta con la sagoma dello stesso Batman, seduti in un faccia a faccia, nel video che ha lo stesso titolo della mostra. Poste in primo piano, alle loro spalle scorre un video composto dall’unione di spezzoni di film classici (L’uomo che ride/ The Man Who Laughs, 1928, di Paul Leni tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo, Lo sceicco bianco, 1952, di Federico Fellini, e Les Vampires, 1915, cine-romanzo diretto da Louis Feuillade), dove si sviluppa l’incontro/scontro di opposti.
Ma anche angeli caduti, che hanno perso le loro ali o, come pipistrelli, appesi a testa in giù, incapaci di suonare le trombe per annunciare un evento importante.
Perché è sempre opportuno Don’t Forget the Joker (2016), che di continuo è in agguato e pronto a rompere gli equilibri, sebbene anche lui possa avere i suoi momenti di debolezza e nascondersi rannicchiato dietro a una tenda, e Batman (This is Not a Love Song 16a), 2010 possa ritrovarsi imprigionato nei muri dei palazzi, pronto a intervenire, ma incapace di fare qualcosa. Come la bellissima e ricca serie fotografica Know Yorself (2002-04) racconta nei suoi ventisei scatti. Rannicchiati come lo sono tutti i supereroi di Every Me and Every You (2019) dell’installazione che chiude il percorso: Spiderman, come Batman o come Yoda, seppur hanno mantenuto le tracce dei rispettivi abiti, sono oramai pressoché anonimi, resi quasi impersonali da una colorazione compatta, raggomitolati sui sassi di una spiaggia, davanti a un mare blu e leggermente increspato, e sembrano nascondersi impauriti, senza la capacità di continuare a dare e fare qualcosa per il genere umano, che un invisibile virus potrebbe spazzare via in un batter d’ali. Così, in questo periodo, oltre a presentarsi come un memento, la mostra è un indubbio invito a riflettere sulle convinzioni delle culture occidentali e, cosa non da meno, sulla loro validità e sulla necessità di mettere in discussione i modelli su cui si sono impostate, a partire dai rapporti tra l’individuo e la collettività e l’ambiente stesso che lo ospita, e che invece di salvaguardare, inesorabilmente sta distruggendo, consumando a piene mani le risorse naturali.
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