“Afterimage”, la nuova mostra del MAXXI L’Aquila, inizia ancor prima di varcare il portone di ingresso, con un lavoro davvero interessante di Francesco Arena. Una grande pietra, un masso anzi, al cui interno è stato fatto un carotaggio in cui ogni giorno verrà inserito il quotidiano della giornata, a creare una sorta di eterna tensione tra gli accadimenti, anche tragici, delle giornate che si susseguono, ed il tempo geologico della pietra. Un giornale entra, un giornale esce.
Masso con gli ultimi 5 giorni è il titolo del lavoro che si trova all’ingresso di Palazzo Ardinghelli, a fare da prologo a una mostra, “Afterimage”, appunto, sul rapporto tra memoria e metamorfosi, che ha inaugurato qualche settimana fa al Maxxi L’aquila.
Un progetto ambizioso, con 26 artisti coinvolti di varie generazioni, e con nove opere site specific realizzate per la mostra, frutto di commissioni.
Si respira aria di contemporaneità a L’Aquila, in un tentativo, l’ennesimo, di tornare alla normalità. Un palazzo capace di contenere tante opere d’arte, dislocate ovunque, persino nei corridoi, a rendere questa mostra fluida nel suo mostrarsi internazionale. Il recente restauro del pazzo di per sé meraviglioso aggiunge virtù ad una mostra che ha realmente un respiro ampio.
Non di facile comprensione il tema trattato, ma come dice Alessandro Rabottini, curatore della mostra assieme a Bartolomeo Pietromarchi “In “Afterimage” le immagini e le cose, così come i corpi e le storie, sono colti all’interno di una dinamica di perenne trasformazione. I nostri ricordi e gli spazi che abitiamo, le cose che ci circondano così come i simboli che interpretiamo, sono in costante movimento: mutano all’interno della nostra memoria e nella loro stessa essenza materiale. Per quante cose scompaiono altrettante emergono, e Afterimage è il tentativo poetico di guardare ai momenti di fragilità e di impermanenza che punteggiano le nostre vite, ponendosi in ascolto del senso di potenzialità che essi portano con sé”.
La mostra, visitabile fino al 19 febbraio 2023, è stata concepita attraverso nuclei tematici, anche per favorire una maggiore comprensione, visto il numero alto di artisti. Non sono divisi per le sale ma si incrociano e si mescolano. Tutto il museo, come già accennato, è coinvolto nell’allestimento, l’ingresso,i corridoi, gli interstizi, ma anche le scale, dove troviamo, per esempio, un interessante lavoro fotografico di Elisa Sighicelli dal titolo Senza titolo (5016).
Ma torniamo ai nuclei narrativi, importanti per una lettura esaustiva della mostra. IL prima è “materia e memoria”che concentra l’attenzione sui materiali appunto, che possono essere reali od effimeri, poi abbiamo “immagine mutevole”, “Il corpo dischiuso”, “L’architettura interiore”.
Per vedere e comprendere bene questa mostra bisogna prendersi del tempo, leggere, approfondire (per fortuna l’apparato di documentazione è davvero ben fatto), bisogna perdersi nelle sale e lasciarsi trasportare, non seguire necessariamente il percorso obbligato. Tanti gli artisti dicevamo e tante le opere, alcune di grande impatto, come quelle di Stefano Arienti per esempio, ma anche il video, già visto altre volte, di Francys Alys. Molto interessanti i lavori dei pionieri della sperimentazione fotografica e filmica, come Luca Maria Patella ma anche Mario Cresci; una mostra insomma con tanti spunti di riflessione, in un contenitore che sostiene e regge perfettamente le spigolosità di un progetto ambizioso ma vincente.
Un apparato della mostra molto interessante è infine il podcast dal titolo L’Aquila Fenice, realizzato in collaborazione con Chora Media, “Un podcast in sei episodi sulle vicende che negli ultimi dodici anni si sono intrecciate nel centro storico ancora ferito della città dell’Aquila, sullo stato e la tipologia di ricostruzione finora portata a termine e sul rapporto tra la memoria del terremoto e le prospettive future della città”.
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