Passione perpetua e instancabile curiosità, spiccante eclettismo e amore viscerale per il nuovo, l’ignoto e l’inesplorato: gli ingredienti di cui si nutre il lavoro di Leonardo Petrucci sono molteplici. Sposandosi con un’approfondita conoscenza delle tecniche tradizionali, con un’abile maestria e con la continua volontà di rinnovarsi senza mai rinnegare sé stesso o il proprio passato, danno luce a un’arte in cui il risultato estetico si lega indissolubilmente alla ricerca, più profonda, che vi è alla base.
Laureatosi con una tesi sul rapporto tra arte e alchimia, ambito che ancora caratterizza la sua indagine, Petrucci si concentra su tematiche particolari, sempre diverse ma interconnesse, con due costanti: l’immaginario alchemico ed un certo ermetismo. Così, il motto latino del marchese Palombara – uomo perdutosi nell’intricato labirinto simbolico dell’alchimia – si sedes non is (se siedi non procedi) scolpito ai piedi della Porta Magica in piazza Vittorio Emanuele II, ricorre alla mente quando si varca la soglia del suo studio, presso il Pastificio Cerere di San Lorenzo, a Roma.
La percezione del tempo si dilata, con una sensazione di vivere “un ritorno in studio come un ritorno alla bottega, tradizionale e antica, dove i tempi sono scanditi da una lentezza fondamentale, per evitare quella bulimia informativa che oggi i social network ci impongono”.
Dopo aver preso parte alla collettiva “#PlayWell: gioca con l’arte”, aperta al pubblico fino al 30 novembre presso il Westin Excelsior di Roma, abbiamo fatto una chiacchierata con Leonardo per parlare dei nuovi progetti in arrivo.
Ho visto che su Instagram hai pubblicato parecchi nuovi lavori digitali. Sono collegati a opere d’arte tradizionali, ma trasformate. Di cosa si tratta?
«L’idea di lavorare sulle opere d’arte del passato servendomi dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale mi è venuta in maniera spontanea. Il primo lavoro che ho fatto – realizzato a tutti gli effetti con l’IA – era un mio autoritratto, fatto con un paesaggio. Inizialmente avevo creato solo l’immagine bidimensionale, solo dopo ho immaginato un video nel quale potesse essere possibile entrare all’interno del mio autoritratto. Successivamente, ho sperimentato con le animazioni e ho ripreso un tema che avevo abbandonato da un po’ di anni: quello delle mantidi religiose. Prima di dedicarmi, più di recente, all’aspetto cosmologico e astronomico, infatti, ho filtrato il mondo dell’alchimia seguendo quello degli opposti nella natura delle mantidi religiose, per il carattere cannibalico della femmina che divora il maschio durante la copula. In vista della mostra personale Antropofagia Simbiotica (2013) ho allevato varie mantidi religiose che sarebbero state esposte vive e libere. Solo dopo ho deciso di trattare il cannibalismo, la fusione alchemica e il matrimonio alchemico con un linguaggio nuovo, che attingesse alla dimensione astronomica: l’impatto del meteorite ha quella violenza che ha anche la mantide femmina che divora il maschio.
Tuttavia, da quando ho iniziato a lavorare con l’IA mi sono reso conto che quando si affrontano argomenti legati allo spazio il risultato è troppo patinato, fantascientifico, estetico ma con poca sostanza. Per questo motivo ho provato ad associare l’utilizzo dell’IA con qualcosa di più cruento, e sono ritornato all’associazione insetti – cannibalismo.
È proprio a questo punto che ho ripreso i capolavori del passato che parlassero della visione cannibalica, violenta, melancolica della decapitazione e di temi lugubri, reinterpretandoli, attraverso l’IA, come momenti di accoppiamento e morte nelle mantidi religiose, il cui titolo è MELENCOL-IA. Eros e thanathos diventano a questo punto gli elementi chiave nella reinterpretazione. Il primo con cui ho provato è Saturno che divora i suoi figli di Goya, e appena ho suggerito all’IA di trasformarlo in una mantide religiosa che divora un insetto, vedendo il risultato sono stato investito da una sorta di furor, una vera e propria epifania. Da lì ho cercato altri lavori della storia dell’arte, come Giuditta e Oloferne di Caravaggio, ma anche la Deposizione di Rosso Fiorentino».
Questi lavori dove vivono esattamente?
«Quelli caricati su Instagram esistono tutti già nella blockchain. Sarà al tredicesimo lavoro che chiuderò questo corpus di opere, con una a cui tengo in particolare, che è Lo scuoiamento di Marsia di Tiziano, una delle ultime opere realizzate dal pittore e ormai quasi irriconoscibile tanta è la violenza che Tiziano espresse».
Quale è tra i due il mondo che ti dà più soddisfazione, quello digitale o quello fisico?
«Chiaramente quello fisico, ma semplicemente perché sono molti più anni che ci lavoro. Da qualche anno, per esempio, ho comprato un torchio e ho ripreso a lavorare con la tecnica tradizionale e antica dell’incisione, che avevo interrotto dopo il percorso accademico. Questa tecnica necessita di un lavoro lento perché bisogna preparare la lastra e seguire un vero e proprio processo su come trattarla, pulirla, bagnare la carta… è un rituale alchemico a tutti gli effetti. Non a caso la tecnica dell’acquaforte è stata inventata da Dürer, un artista alchimista. Tornando a noi, con le giuste capacità, potrebbero bastare un foglio e una matita per generare un’opera d’arte. Tuttavia, l’arte digitale è un’evoluzione dell’arte fisica e in quanto tale la accetto, ne fruisco e mi piace».
Quale è il tuo lavoro a cui sei più affezionato, se ne hai uno?
«È una bella domanda perché ne ho vari. Quello a cui tengo di più (non parlo dell’unica opera ma dell’insieme di opere) è il progetto è RED HOPE, una serie di tappeti realizzati a mano che riproducono i paesaggi del pianeta catturati da una sonda. Ne esporremo uno a fine ottobre alla mostra personale che farò a Treviso alla Fondazione Imago Mundi insieme ad un arazzo. Quest’ultimo riproduce la complessa geometria presente all’interno di una meteorite, anch’esso presente in mostra all’interno di una teca».
Parlami dei progetti che hai in programma in futuro.
«Come ti dicevo poco fa, a breve verrà inaugurata la mia personale alla Fondazione Imago Mundi, frutto di un premio che mi è stato dato nella sezione Level Zero ad ArtVerona (2021) con la galleria Gilda Lavia: ero stato selezionato con un tappeto presente in stand. La mostra rifletterà su una sintesi del lavoro realizzato sino ad oggi legato al cosmo. Il titolo della mostra sarà “ouverture” data l’ambivalenza della parola: da un lato rappresentativa di un capitolo finale di tutta la ricerca che ho svolto finora, dall’altro apertura verso qualcosa di nuovo. Inoltre, dato che la Fondazione Imago Mundi è un ex carcere, parlare di apertura è già un paradosso di per sé. Ci saranno poi altri progetti, più legati alle fiere: con Gilda Lavia sarò di nuovo presente ad ArtVerona e poi anche ad ArteinNuvola».
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