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Ai confini del Texas, Marfa dice no al turismo
Arte contemporanea
Everdybody here hates you. “Tutti qui ti odiano” recita l’insegna al neon comparsa pochi giorni fa su un edificio abbandonato a Marfa, in Texas. Realizzata dagli artisti locali Chris Ramming e Rob Brill, l’installazione è un appello rivolto a tutti i turisti che in questo periodo, nonostante la difficile situazione causata dalla pandemia di COVID-19, continuano ad arrivare nel piccolo comune degli Stati Uniti.
Nelle ultime settimane infatti, il Texas occidentale, in particolare la contea di Presidio, presenta uno scenario da incubo: il numero di contagi continua ad aumentare, così come il numero delle vittime. Nessun lockdown imposto dalle autorità, tamponi disponibili solo ogni due o quattro settimane, mentre l’ospedale COVID più vicino si trova El Paso.
Quella che era solo una piccola cittadina di passaggio a sette ore di macchina da Austin, oggi è conosciuta come la Mecca del Minimalismo e punto di riferimento per l’arte contemporanea dove è obbligatorio recarsi in pellegrinaggio almeno una volta nella vita, seguendo le orme di Donald Judd che, per primo, nel 1977, la scelse come suo rifugio, inaugurando in un ex fortino militare la Fondazione Chinati, nel 1986.
Se la Fondazione, la galleria Shy Marfa e altri importanti centri d’arte hanno deciso di chiudere le loro porte a causa della situazione fuori controllo, molte attività hanno però continuato ad accogliere i visitatori come se nulla fosse.
Negli ultimi mesi molti turisti sono arrivati nella cittadina sperando che una fuga in campagna significasse minor rischio di contagio. Secondo quanto raccontato dagli artisti, i ristoranti sono pieni, gli hotel al completo e nell’ultimo mese il Big Bend, il parco nazionale situato lungo il confine con il Messico, tappa finale obbligatoria dopo un weekend a Marfa, ha registrato un aumento del 20% dei visitatori rispetto allo scorso anno.
Le linee guida imposte, come l’obbligo di mascherina al chiuso, limite di posti e distanziamento, non vengono rispettate. “Il minimo che possiamo fare adesso è far sapere alla gente che non è davvero sicuro venire qui”, ha detto Brill. “Amo così tante persone che vivono in questa comunità e ora corrono il rischio reale di morire perché qualcuno possa mangiare una enchilada in un ristorante elegante.”
Anche il collettivo Z Ranch che solitamente utilizza la vecchia struttura che ospita l’opera di Ramming e Brill come spazio espositivo, si è unito alla protesta locale, affiggendo un poster dove si legge la scritta: “This town chooses your dollars over the safety of the people who live here.”
“È frustrante vedere altre persone trarre profitto da questa situazione invece di fare quello che dovrebbero per proteggere la comunità” ha detto Ramming in un’intervista ad Hyperallergic “La nostra è un’affermazione aggressiva, ed è sicuramente una dichiarazione anti-turistica, ma rispecchia quello che proviamo”
Una riflessione però sorge spontanea. Se in questi tempi incerti siamo tutti costretti a prendere le distanze fisicamente, ricorrendo ad altri modi, quasi mai efficaci, per sentirci più vicini, è giusto che l’arte venga usata per creare altre barriere?