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Al MACRO di Roma, quattro progetti da vedere, ascoltare e attraversare
Arte contemporanea
Alle rubriche del palinsesto in continua evoluzione del MACRO – Museo d’arte contemporanea di Roma, sono affiancati quattro approfondimenti a dir poco accattivanti, visitabile fino al 25 agosto. Le particolari sale tematiche di questo modernissimo spazio espositivo aprono ancora una volta le loro porte ad artisti eclettici e sopra le righe, come Stefano Tamburini, Luigi Serafini, Laura Grisi e Carsten Nicolai in arte Alva Noto.
Il MACRO non è il classico spazio che la maggior parte di noi immagina quando sente parlare di museo. Nasce infatti con lo scopo di riqualificare la zona Nomentana, convertendo un ex stabilimento della birra Peroni in un centro culturale aperto al pubblico. L’utilizzo delle parole “rubriche” e “palinsesto” non è affatto casuale ma legato a una scelta curatoriale ben precisa, quella di Luca Lo Pinto, di pensare il museo come una rivista, lasciando dunque ai visitatori la libertà di “sfogliarla” a loro piacimento, fedele a un’idea di museo come luogo da vivere più che da dover visitare.
Si parla quindi di uno spazio controverso e vivace, in cui invece degli originali vengono esposte le loro riproduzioni. Scelta paradossale, in antitesi con il concetto stesso di esposizione. Persino in Retrofuturo, rubrica dedicata alla collezione permanente del MACRO, i pezzi “storici” vengono messi in mostra tramite grandi wallpaper stampati con collage fotografici, ingrandimenti e video trasmessi sui monitor. Così 1200 opere vengono fruite sotto forma di contestualizzazione, per lasciare spazio a opere più recenti, di nuova generazione, che vengono invece esposte fisicamente.
Accelerazione In-design
La mostra Accelerazione, dedicata a Stefano Tamburini, è ospitata nella sala In-design, rubrica dedicata all’esposizione di grafici e designer il cui approccio editoriale sfocia nelle arti visive. Scelta indovinata, poiché l’accelerazione per Tamburini era proprio la volontà di non porsi limiti nell’utilizzo di media, materiali e tecniche. Designer, fumettista, grafico, editore. Tamburini è certamente tutte queste cose, ma è soprattutto un abilissimo narratore del suo tempo che grazie alla sua efficace poliedricità riusciva a rimanere sempre al passo coi tempi e a comunicarne i cambiamenti.
Il percorso del visitatore è accompagnato da un grande telo panoramico, con un vasto collage di immagini, che ripercorre e commenta la carriera dell’artista, nato a Roma, nel 1955, e scomparso nel 1986. Un allestimento non solo coerente con la linea editoriale del museo, ma che sposa anche l’idea di “furto”, che per Tamburini aveva lo scopo di smantellare la concezione di arte, intesa come feticcio creato per essere dato in pasto al pubblico.
Cosmogonie di Laura Grisi
Nella sala Polifonia, dedicata a mostre con aspetti monografici di diversi artisti messi in comunicazione fra loro, con una logica simile a quella della jam session, le opere di Grisi si pongono in dialogo dinamico ed efficace con quelle di altre tre artiste contemporanee: Leonor Antunes, Nancy Holt e Liliane Lijn. Laura Grisi fu un’artista incategorizzabile, fuggevole alle definizioni date dal suo tempo. La sua ricerca in un primo momento pareva avvicinarsi particolarmente a quella perseguita dagli artisti/ scienziati dell’arte cinetica, con soggetti frutto della società dei consumi tipica della Pop art e un utilizzo di materiali, la cui estetica oscillava dal minimalismo americano all’arte povera. Cercare di definire un’artista così poliedrica forse non è una buona pratica ma, a posteriori, è sempre tutto più chiaro, mentre i contemporanei non possono che leggere la realtà per associazioni a ciò che è loro già noto.
Tuttavia è qui che entrano in gioco le tre ospiti di Cosmogonie, la chiave della comunicazione tra loro non è tanto la similarità ma la loro connettività. Se ci concentriamo prima sulle opere di Antunes, Holt e Lijn analizzandole individualmente e cercando di coglierne il messaggio, ci accorgeremo che possono essere usate come mezzo per una lettura più ampia. Connettendole l’una all’altra come tessere di un puzzle, avremo un quadro più completo della carriera di Laura Grisi e un’idea più chiara del suo nomadismo stilistico, mettendo allo stesso tempo, il visitatore nelle condizioni di contestualizzare meglio le ragioni di questi passati tentativi di categorizzazione avvenuti nei confronti della fluida produzione dell’artista.
L’ontologia degli artisti
La sala Studio bibliografico è una rubrica dedicata all’editoria cartacea e digitale, all’esplorazione delle potenzialità di questi mezzi per la produzione e la divulgazione di idee e conoscenze. Non è questo forse il senso della figura dell’artista? Divulgare idee e conoscenze attraverso un linguaggio immediato, seppur complesso? Luigi Serafini in questo è sicuramente un esempio indovinato. Creatore di realtà oniriche, scrittore sì ma di mondi, non di vicende. La sua opera più famosa e acclamata è sicuramente il codex seraphinianus, una vera e propria enciclopedia, con scritte dai caratteri indecifrabili e oltre mille disegni che illustrano fauna, flora, minerali e tecnologia di un mondo fantastico, un libro d’artista raffinato ed elegante edito da Franco Maria Ricci.
Sfogliare il codex è come tornare bambini, quando delle enciclopedie non si leggevano le informazioni ma i disegni, quando la scrittura non era ancora un linguaggio ma solo un insieme di curiosi simboletti che incorniciavano le coloratissime illustrazioni. Serafini però, oltre all’editoria, vanta una vasta ed eclettica produzione, che coinvolge anche la scultura, il design e la fotografia.
La mostra in questione è un viaggio all’interno di una rielaborazione della sua casa romana, che lui chiama casa ontologica. Non altro che la versione scenografica del codex, totalmente progettata da lui fin nei minimi dettagli d’arredamento. Per ogni stanza della casa sono esposte più fotografie, in modo da restituire una visione completa dello spazio, utilizzando più punti di vista che ne inquadrando tutti i lati comprendendo anche gli arredamenti. Ogni scatto ha un pannello dedicato, tuttavia in ognuno di essi è presente un simbolo, tratto dal codex, che permette all’osservatore di collegare le foto ritraenti lo stesso spazio e di ricostruire la stanza rappresentata. Questa casa-opera non è solo uno spazio dall’estetica stravagante, è una testimonianza di quasi quarant’anni di lavoro e che oggi rischia di scomparire a causa di un provvedimento di sfratto che, infatti, ha sensibilizzato particolarmente la popolazione.
Hybr:ID in camera
La rubrica Musica da camera si compone di uno spazio immersivo dedicato all’ascolto di musica sperimentale. In occasione della mostra l’artista presenterà il terzo capitolo della serie HYbr:ID, ancora inedito.
Quest’ultima parte del progetto è caratterizzata da diversi metodi compositivi che confluiscono sapientemente in un unico insieme. La sala buia e ottimizzata proprio per il solo ascolto di tracce d’artista è resa ancora più suggestiva dalle basse frequenze di quest’opera sonora. Noto illustra i suoi studi nel dettaglio, mostrando le geometrie e le oscillazioni delle sue composizioni con precisi disegni tecnici, che sottolineano ulteriormente la scientificità del suo lavoro.