Non solo le strutture fisiche parlano di scale. Nell’immaginario collettivo sono anche e forse soprattutto simboli di ascensioni e discese o meglio di «Levitazioni discenditive» (Antonio Porta). Dal lucido presente conducono all’onirico e all’inconscio, all’incubo o all’allucinato. Penso a Escher e alla Endless Stair a lui ispirata, eretta di fronte alla Tate per il London Design Festival circa dieci anni fa. È in questo contesto, a cavallo tra il sogno e il disegno, il tangibile e l’inverosimile, che si colloca Stairing, l’installazione site specific realizzata dall’artista Guglielmo Maggini (Roma, 1992) sulla scalinata del MIC di Faenza, divenuta opera permanente del Museo.
Un lavoro che lascia interdetti, pieni di stupore, poiché è in sé sbigottito e davvero contemporaneo nella misura in cui lo sperimentalismo di cui si compone non dimentica i Maestri. Uno tra tutti? Burri, con il cui cretto Nero e Oro donato al MIC nel 1993, stringe un legame visivo e semantico serrato, invitando a riflettere sul concetto di passaggio.
Nella sua espressione dinamica Stairing sembra richiamare quel che comunicò Duchamp in Nu descendant un escalier. La scala come fusione tra movimento e staticità, luogo sospeso, di transizione, che ingloba il contesto culturale nel quale si colloca, sfidando le coordinate spazio-temporali senza escludere la società, senza astrarsi del tutto.
Più che una manifestazione artistica, Stairing è un’esperienza cognitiva, impastata di significazione. Raccontando della fase processuale, Maggini parla della sua esperienza in relazione all’ambiente alluvionato, evidenziando come «Ogni creazione sia un atto di resistenza e di memoria», ponendo l’accento sull’importanza di riconoscere le cicatrici del passato per poter costruire. Ogni gradino richiede consapevolezza ed attenzione, è locus di conflitto e di introspezione, un po’ come la scala della nave Pequod in Moby Dick.
Stairing si distingue per il suo approccio audace e innovativo, nello stile dell’artista che qui miscela ceramica e plastica, due materiali in apparenza distanti, ma che nella sua visione si intrecciano generando autenticità. L’installazione è inoltre relazionale, invita a interagire con essa. Come ha sottolineato la curatrice Irene Biolchini, Stairing non vive di sola contemplazione, deve essere vissuta: «L’esperienza estetica si compie nel momento in cui il visitatore diventa parte dell’opera».
Nelle sue parole si fa chiaro come Maggini utilizzi l’architettura e la scultura per trasformare l’esperienza di fruizione. Il concetto di “soglia” diventa cruciale. La scala del Museo, infatti, è una “porta di accesso”, un portale, che consente una nuova fruizione degli ambienti e delle opere che si trovano al suo interno. «Attraverso questa soglia, il visitatore non solo si muove, ma si trasforma, entrando in una nuova dimensione percettiva».
Una luce che modelli lo spazio anziché mortificarlo è ciò che occorre per l’ingresso del MIC, nelle parole della Direttrice Claudia Casali. Con Stairing la scala si trasforma in una “vena dell’architettura”, un’arteria vitale in grado di promuovere un flusso creativo e consapevole. L’esperienza visiva e materiale si arricchisce di un fertile connubio tra diverse generazioni di artisti, accogliendo la sfida di un’interazione che supera le barriere tra i materiali artistici tradizionali e quelli più avant-guarde. D’altronde come lo stesso Maggini rivela «L’arte ha il potere di riscrivere il racconto di un luogo», e così è per la sua installazione.
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