Città volanti. Gli aeroporti sono entità scisse. Stazionano al suolo come noi animali terrestri, ma in verità sono soggetti che predispongono azioni e rivolgono attenzioni al cielo. Entrare in una Mostra d’Oltremare vuota e sopita, al tramonto, con le sue “torri di controllo” in ristrutturazione, i suoi rettilinei e le macchine d’acciaio parcheggiate in qualche hangar laterale, è un’esperienza sospensiva, di attesa, come ci suggerisce la pancia ogni volta, prima di staccare da terra. Siamo così arrivati nel palazzo Teatro Mediterraneo, nel quartier generale di ALA, azienda leader nei servizi di logistica e distribuzione di prodotti per l’industria aeronautica e aerospaziale. Aggirandosi per le sale e per lo splendido loggiato neoclassico ci si imbatte in un grande affresco di A. Chiancone e P. Barillà, che nonostante i decenni narra temi modernissimi, quali l’arte, la scienza, il lavoro. Un climax eccellente per introdurci ad UP, opera site-specific di Mariangela Levita, vincitrice dell’edizione 2021 di ALA Art Prize. Evento che si preannuncia come interessante appuntamento annuale, organizzato da ALA FOR ART e volto non solo alla creazione di una collezione di opere permanenti all’ interno della sede ma anche a suscitare interesse e attenzione sui temi contigui come l’arte e le tecnologie.
Si raggiunge la scala monumentale che conduce ai piani superiori e si è subito investiti, come suggerisce Eugenio Viola – membro del comitato scientifico di ALA Art Prize insieme a Lorenzo Benedetti e Alessia Volpe – dalla “pittura espansa” di Levita, artista da sempre impegnata in profondi dialoghi tra la sua arte ora scritturale, ambientale, tramata e gli spazi dalle molteplici identità, ora di circostanza ora storici e monumentali, ma che in ogni caso ne acquisiscono in pregnanza e sincerità.
In questo aeroscalo della scienza e della tecnica, di per sé già distante, per proiezione ed elezione, dai tipici Non-lieu postmoderni, ci si esprime per campi semantici quali immaginazione, sguardo, calcolo, distanza e visione, si progettano forme collaterali di partenze e destinazioni e i linguaggi, i concetti e i segni universali si miscelano in modo non così distante dai pattern cromatici di UP, frutto delle molteplici «esperienze sensoriali del visivo» con cui l’artista campana ci ha accompagnato in questi anni.
Tuttavia la stanchezza e gli sforzi non possono che affastellarsi in ambienti che assecondano per lo più una cooperazione metodica e funzionale, causando ogni tanto quella umanissima necessità di “raccordare sensi e pensieri”, magari durante un veloce scalinata, uno scambio di battute con un collega, una sigaretta o un pranzo frugale. E UP “prima non c’era e ora c’è”. Un dichiarazione d’intenti, esclamativa, trasbordata, capace di produrre uno spostamento dolce di traiettorie, un abbrivio emotivo sulla quotidianità e sulla ripetitività, sfruttandone la stessa composizione, quella del pattern, del tema, in un angolo di passaggio, di riflessione o di distrazione che non seleziona, non visualizza ma vede, non raccoglie ma coglie.
Con una responsabilità di guida, simile a una Follow-me car, dai colori vividi e illuminanti che insieme al “moviere” conduce l’aeromobile per il tracciato aeroportuale, UP manipola verso l’insorgenza, sospingendoci attraverso le doti subliminali dei colori, che riverberano ogni volta alle «radici stesse della percezione». Che rimane in ogni caso emozione, dunque energia e potere.
La pittura di Levita da sempre «nasce dallo spazio», sconfina, supera ogni «bidimensionalità», «deflagra», «aggredisce lo spazio». Ma lo spazio siamo noi, coloro che lo rivestono con i propri immaginari e le memorie personali, i nostri rimandi e i nostri passaggi. E in questo gioco di upstairs/downstairs soprattutto interiori, UP assume quasi una prominenza concettuale, smontando le nostre categorie volumetriche, colonizzando spazi di attenzione e producendo appercezioni alternative.
Così, a ogni scalino, la forma muta, ora pittura parietale, ora delicato post-it sul bordo di un iMac, ora cartellone 3D da stadio, sempre uguale a prescindere dall’inquadratura. È il gioco potente della forma/linguaggio, che in breve occupa e indirizza la nostra mente più che i nostri occhi, assumendone infine forma totemica, presenziale ma mai minacciosa.
E quando la luce solare si spegne ed è tempo di lasciare le piste sgombre e illuminate dai fari di segnalazione, guadagnando l’uscita dalla Mostra, UP continua a pulsare, come un set di airfield lights pur nella pancia del Teatro Mediterraneo.
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