30 marzo 2024

Alessandra Ferrini, un’inquietante genealogia al Museo Novecento di Firenze

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Con il suo progetto al Museo Novecento di Firenze, Alessandra Ferrini scava tra fascismi, eredità famigliari e inquietanti genealogie. Aspettando la Biennale di Venezia

Unsettling Genealogies (zia Ada in posa nel giardino di Villa Maraini, anni 40)

Unsettling genealogies, progetto espositivo dell’artista Alessandra Ferrini (Firenze, 1984. Attualmente vive a Londra) a cura di Daphne Vitali ha aperto al pubblico a metà febbraio, al Museo Novecento di Firenze, ed è visibile fino al 28 aprile 2024. Ferrini segue il filo rosso della sua pluriennale ricerca, ovvero l’analisi dell’eredità fascista e coloniale italiana e dei suoi intrecci con la storia delle istituzioni culturali, sviluppando in questa occasione un progetto in due capitoli negli ambienti al primo piano del museo. Come solito nella pratica dell’artista, l’indagine prende le mosse dalle memorie e dalle rimozioni collettive, reinterpretando strumenti e metodi della storiografia e dell’archivistica, cristallizzandone alcuni momenti in installazioni e immagini in movimento e utilizzando la narrazione e la lettura come strumenti pedagogici. In Unsettling Genealogies, Ferrini si spinge un po’ più in là: intreccia la storia con la S maiuscola a una dimensione intima, mettendo in discussione un personale archivio di memorie familiari e le relative inquietanti genealogie.

Alessandra Ferrini, Unsettling genealogies, Veduta della mostra, courtesy Museo Novecento, Firenze, 2024. Foto Serge Domingie
Alessandra Ferrini, Unsettling genealogies, Veduta della mostra, courtesy Museo Novecento, Firenze, 2024. Foto Serge Domingie

Familiarità è la sensazione che proviamo entrando e facendo esperienza del primo ambiente di mostra: un salotto domestico dall’arredamento accogliente. Alle pareti fotografie in bianco e nero, sul pavimento un tappeto dalla trama geometrica e al centro due poltroncine e un tavolino. Sul tavolino alcuni testi. Siamo invitati a sederci e sfogliarli con calma. È facile stare in questo spazio di casa.

Meno comodo è entrare nella fitta trama che vede al centro, tra gli altri, la figura del conte Giuseppe Volpi di Misurata, a cui fanno riferimento i libri e i documenti. Politico fascista, imprenditore e governatore della Tripolitania dal 1921 al 1925 e presidente della Biennale del Cinema di Venezia, nonché ex ministro delle finanze di Mussolini. Ancor oggi è colui che dà il nome alla Coppa Volpi, assegnata alla migliore attrice e al miglior attore della rassegna cinematografica. Una gigantografia, realizzata a partire da una foto d’archivio, ci mostra il conte in occasione della terza Esposizione del Cinema di Venezia, da lui istituita con Antonio Maraini e Luciano De Feo.

Alessandra Ferrini, Unsettling genealogies, Veduta della mostra, courtesy Museo Novecento, Firenze, 2024. Foto Serge Domingie
Alessandra Ferrini, Unsettling genealogies, Veduta della mostra, courtesy Museo Novecento, Firenze, 2024. Foto Serge Domingie

Ferrini ci guida, in questa storia, attraverso un video della seconda sala. È qui che l’artista riversa le riflessioni sulla forza propagandistica della cultura e le responsabilità che ne derivano, ponendo un accento sulle conseguenze a lungo termine degli investimenti del regime nell’arte e sul rapporto estremamente attuale tra estetica, ideologia e propaganda. Lo fa ripercorrendo la fondazione della biennale cinematografica e le edizioni della Biennale d’Arte negli anni del totalitarismo, di cui fu direttore lo stesso scultore e politico fascista Maraini dal 1928 al 1942. L’intreccio diviene man mano evidente: è proprio nella villa dello scultore che prestarono servizio, come domestici, negli anni Trenta e Quaranta, la prozia, il nonno e la nonna dell’artista.

Alessandra Ferrini, Unsettling genealogies, Veduta della mostra, courtesy Museo Novecento, Firenze, 2024. Foto Serge Domingie
Alessandra Ferrini, Unsettling genealogies, Veduta della mostra, courtesy Museo Novecento, Firenze, 2024. Foto Serge Domingie

Lo schermo ci mostra Ferrini aprire una scatola e tirare fuori i loro documenti di identità, le fotografie e le lettere che ci legge con voce tranquilla. Sono proprio le due donne a essere le protagoniste dei ritratti fotografici esposti, scattati dallo stesso Maraini, signore di casa.  Le storie sono man mano disossate in maniera manifesta e toccante dalla voce placida dell’artista, alternandosi e poi incontrandosi. Quella della Biennale di Venezia e dei suoi legami con un passato coloniale è una vicenda che Alessandra Ferrini sente intima a tal punto da fondersi con i racconti tramandati e ricostruiti attraverso documenti personali e storie sussurrate in famiglia, entrando negli spazi tematici della subalternità del femminile e della classe sociale.

Un lavoro scomodo e oggi indispensabile attraverso cui Ferrini riesce a parlare della dimensione politica di una memoria che non può essere singolare, guardando profondamente in quelle storie altre spesso cancellate dalle narrazioni ufficiali. Una dimensione affettiva che prende corpo in questo denso video essay, attingendo alle modalità della saggistica, con concrete fonti e riferimenti.

Potremmo dire che a questi intrecci si lega ora, inevitabilmente, la partecipazione di Alessandra Ferrini alla prossima Biennale Arte di Venezia, invitata dal curatore Adriano Pedrosa alla mostra internazionale Strangers Everywhere. Non vediamo l’ora.

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