“Frangiflutti”: questo è il titolo della personale di Alessandro Piangiamore (Enna, 1976) alla galleria Magazzino, dove non esponeva da sei anni. Una mostra complessa e articolata, concepita come una narrazione simbolica e quasi cosmologica, che tocca gli elementi della terra, dell’aria, dell’acqua e della luce, ognuno declinato con una modalità ed un linguaggio specifico. “Ho iniziato a pensare a questa mostra circa sei mesi fa: mi interessava disattendere le aspettative legate al mio lavoro precedente – spiega- perché uno dei rischi che corrono gli artisti è quello di essere identificati con una modalità”. A cominciare dal titolo, legato all’idea di arte come una forma di libertà e di protezione dal mondo, una zona dove poter sperimentare senza barriere né confini, pur mantenendo le caratteristiche tipiche del pensiero dell’artista, che si nutre di elementi consapevoli e inconsapevoli . “Alcuni entrano in maniera leggera e giocosa, altri invece in modo più meditato: del resto la mostra non è mai il momento finale del lavoro, ma una tappa”.
L’idea base è la costruzione di un paesaggio, cioè “un luogo dove l’occhio possa riposare” aggiunge l’artista. L’elemento dal quale Piangiamore è partito è la terra, intesa nella sua natura sia materica che cromatica. Così una collezione di terre raccolte dall’artista durante i suoi viaggi, denominati, sono state trasformate in grandi pannelli verticali quasi monocromi, denominati Il Cacciatore di polvere con una strizzata d’occhio a Marcel Duchamp: ognuna è stata mantenuta nella sua purezza, con la sua grana, la sua cromia , il suo odore. “Come tutti i cacciatori sono ossessivo, vorrei raccogliere tutte le terre del mondo ma non credo sia possibile” aggiunge l’artista. Ognuna delle opere possiede una monumentalità spirituale e poetica, che riempie gli spazi della galleria con un respiro silenzioso, antico e primordiale, vicino alle installazioni realizzate con il polline da Wolfgang Laib o ai disegni bituminosi di Richard Serra. Con questo ciclo di opere, che assume una forte connotazione spaziale e si colloca sul sottile crinale tra pittura e scultura, monocromo e bassorilievo, Piangiamore racconta la possibilità di elevare la materia sulla quale poggiamo i piedi, spesso del tutto ignorata dai nostri sguardi.
A fare da contrappunto a questi lavori l’artista ha voluto posizionare nella sala più grande della galleria la serie di immagini Acqua negli occhi, composta da una serie di fotografie di paesaggi colti attraverso una lastra di ghiaccio, quasi a voler creare una prospettiva diversa ed effimera sul mondo. Un’ulteriore novità è l’opera Giove Pittore di farfalle – il cui titolo fa riferimento ad un dipinto mitologico di Dosso Dossi -, composta da sette sculture in vetro opaco, lavorate dall’artista come blocchi di ghiaccio ed illuminate ognuna con i colori dell’arcobaleno, manovrati a distanza da un demiurgo anonimo, che ne dispone colori e intensità in maniera emotiva ed irrazionale, per conferire alla tecnologia una dimensione umana. Conclude il percorso espositivo il ciclo di opere Qualche uccello si perde nel cielo, composto da una serie di stampe che rappresentano frammenti di cieli stellati popolati da piume di uccello . “È una mostra fatta di cieli, di terre, di luce e di ghiacci” conclude l’artista, che ha il grande merito di essersi messo in gioco per proporre un’esposizione matura e consapevole, concepita come un’esperienza da vivere per coglierne appieno la natura intensa e sensibile .
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