Gli alberi di Alex Katz incantano nel suggestivo allestimento della chiesa sconsacrata di Sant’Andrea de Scaphis a Roma. Una mostra personale che ha per soggetto l’albero con i suoi tronchi che spiccano su uno sfondo azzurro che allude al cielo. Tre dipinti monumentali, Blue Tree nella parete centrale e Tree 8 e Tree 9 sulle pareti laterali, definiscono lo spazio della chiesa come fossero pale d’altare dall’aura sacra. Ristabiliscono la distanza che esiste tra l’uomo e la natura, appaiono come delle icone su cui meditare e davanti cui lasciarsi ammaliare e riflettere. Complice i giochi di luce che penetrano nella navata in ombra della chiesa, tutto risulta estremamente profetico e meditativo. Gli alberi risaltano nei loro profili, spogli e realizzati tramite un disegno essenziale con la tecnica a olio.
Katz è uno dei maestri della pittura figurativa americana, anello di congiunzione tra l’Espressionismo astratto e la Pop Art, ha sviluppato uno stile inconfondibile scegliendo di non abbandonare la rappresentazione. La sua ricerca si è concentrata sul ritratto e sul paesaggio, a partire dai collage eseguiti alla fine degli anni Cinquanta fino alle pitture di grande formato degli anni Ottanta e Novanta. Sin dall’inizio della sua carriera artistica ha dipinto paesaggi sia all’interno del suo studio che all’aria aperta a contatto con la realtà esterna. Questi alberi presenti sono stati eseguiti probabilmente en plen air e interpretano lo stile caratteristico di Katz composto di grandi superficie di colore luminoso e forme piatte dai contorni netti.
Il suo lavoro è contraddistinto da due poli: da una parte la riproduzione dei simboli appartenenti alla cultura americana e alla società moderna, dall’altra il lirico paesaggio naturale. Lavori accomunati da una cifra stilistica comune fatta dii superficie appiattita dal colore e ricerca di linee essenziali e marcate. Questa mostra, tuttavia, ha un taglio critico differente perseguendo la scelta di rappresentare un’atmosfera, più che una rappresentazione reale del paesaggio. Gli alberi infatti alludono alla luce di New York che inonda la città e li circonda, lo stesso artista dichiara in merito: “Non c’è niente di più straordinario del guardare qualcosa per davvero. Quando si guarda non ciò che le cose sono o significano secondo la nostra esperienza, ma semplicemente come le cose si mostrano. Non credo di vedere ciò che mi circonda in ogni momento, o forse lo vedo solo in rapide occhiate e bagliori improvvisi. Si verifica uno scontro e allora inizi veramente a guardare, cercando di vedere un qualcosa. A quel punto è meglio mettere da parte tutto il resto”.
Perciò, l’albero come fulcro della mostra è significativo, per l’artista rappresenta un elemento della città che sfugge perennemente allo sguardo del cittadino, rimane lì immobile come una sentinella, ma che si mostra ora nel suo vero profilo e richiama la nostra attenzione. Katz propone la consistenza permanente di un attimo, l’albero prende vita nel momento in cui si stabilisce una connessione con il passante, altrimenti rimane un’icona separata dal turbinio della città. La stessa inquadratura che realizza l’artista suggerisce la sintesi di uno schermo in cui ci si può riflettere, come fosse uno specchio.
In un luogo simbolico, tra passato e presente Katz vuole riprodurre l’essenza delle cose messa in atto tramite un meccanismo di visione che deve essere prolungato, riflessivo e focalizzato sui dettagli. Il taglio compositivo dei dipinti suggerisce ai visitatori di prestare attenzione ai particolari, di concentrare la visione su dettagli su cui di solito non ci concentriamo. Una visione lenta e graduale focalizzata sui rami, sugli spazi vuoti tra di essi e su un cielo perfettamente blu. Katz vuole indurre una riflessione sul nostro modo di guardare la realtà, perdendoci in essa a causa di un’osservazione fugace che non riesce a cogliere la bellezza vera e l’essenza delle cose. In questo modo non siamo veramente in grado di vedere e comprendere, soffermandoci solo sulla superficie. Il contesto aiuta ad amplificare questo messaggio, ovvero il luogo tradizionalmente adibito alla preghiera e al raccoglimento interiore.
In questo luogo antico è evidente il contrasto con la vivacità dei dipinti che risaltano nell’ambiente della chiesa ridonandogli “linfa vitale” e familiarità che viene percepita anche dallo spettatore. L’opposizione tra le opere e il contesto amplifica l’effetto voluto dall’artista, così da lasciare noi che entriamo in una dimensione quasi ultraterrena, sospesa nel tempo presente che evoca una sensazione di pace.
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