Alighiero oltre lo specchio: intervista ad Agata Boetti e Giorgio Colombo

di - 27 Dicembre 2024

Racchiudere l’universo di un artista, specialmente quando questo è associato a diverse prospettive che ne delimitano, in un certo modo, la ricerca, è un onore, oltre che un rischio, che è necessario correre. Preservare la memoria, salvaguardare la verità. Su quanto facilmente manipolabile sia, forse è un discorso già troppo ripetuto nell’epoca delle post-verità e della sua costruzione, più o meno ideologica, che però è sempre giusto ribadire. Perché, dopotutto, la verità è tutto ciò che di più profondo può esserci; lega, in modo forse sottile – o forse, anche, forzatamente – tutte quelle molteplici sfaccettature delle cose. Tornabuoni Arte, nella sua sede romana, ospita la mostra Cabinet de curiosités, un’importante e intima mostra sull’universo, tutt’altro che esplorato, di Alighiero Boetti.

Alighiero Boetti, Cabinet de curiosités, veduta della mostra, Tornabuoni Arte, Roma, 2024

Muovendosi con passo cadenzato all’interno degli spazi della galleria, lo spettatore può osservare tutti quegli stimoli difformi ed eterogenei che hanno accompagnato l’opera di uno dei più grandi artisti del secolo scorso. Nell’opera di Boetti, come gran parte degli artisti dovrebbe fare (o millanta di fare), è la natura stessa della realtà delle cose, la quotidianità poetica, a essere al centro dell’attenzione: l’ordinario, diventa extra-ordinario; l’osservazione, ai limiti dello scientifico, diventa speculazione puramente intuitiva.

Ed è questo sguardo, profondo e curioso, sulle cose, a essere mostrato. A partire da disegni intimi, personali, documenti inediti, bozzetti e schizzi, cartoline, progetti più o meno compiuti (provenienti dalla collezione della figlia, Agata Boetti), per arrivare a osservare il video Giovedì ventiquattro settembre 1970 e ai venti scatti di Giorgio Colombo. L’ordinario puro, che concorre, assieme alle poche – ma incisive – “opere” esposte. Perché, per quanto possiamo intendere questi oggetti appartenenti alla mostra come effettive opere d’arte, è più utile considerarli come elementi propedeutici alla costruzione delle opere finite vere e proprie. Da Cimento dell’armonia e dell’invenzione e Lavoro Postale, di cui sono presenti i bozzetti a Piano Inclinato (1981), Aerei (1977-1978).

Alighiero Boetti, Cabinet de curiosités, veduta della mostra, Tornabuoni Arte, Roma, 2024

Due nuove opere inedite: il Muro e lo Zoo. La prima, un’opera che Boetti ha conservato, gelosamente, per sé e costruito tra il 1972 ed il 1993. Intimamente biografica, pubblicamente inaccessibile, nata come immenso atlante/archivio della sua, personale, memoria. Si possono osservare, al suo interno, tutti quegli elementi del quotidiano che sopra sono stati citati: ricordi e pagine di giornale, lettere ad amici e disegni della figlia. La seconda, una sorta di stanza dei giochi per i suoi figli, in cui centinaia di piccoli animali in plastica costruiscono uno scenario in cui giocare e divertirsi ad immaginare nuove scene e sempre diverse.

Boetti, attraverso Boetti. Boetti con Boetti. Boetti, intimamente Boetti. Protagonista indiscusso, unico intermediario tra il reale e l’assoluto, l’artista è celebrato nell’importanza, indeterminata, della sua memoria personale e collettive. Non è un Boetti come è stato visto, ma un Boetti rubato dalla sua stessa vita. È inevitabile, per lo spettatore, continuare a porsi domande, più o meno stupide (nel mio caso), sul perché, sul cosa, sul quando e sul come di ogni singolo specifico dettaglio. Domande che, probabilmente, non hanno nemmeno una vera e propria risposta e a cui, magari, nemmeno Boetti stesso avrebbe saputo rispondere.

La mostra rappresenta quella bellezza, imponderabile, dell’esclusività del rapporto tra l’arte e l’artista: un matrimonio indissolubile in cui nessun altro può entrare, se non l’artista stesso. Una relazione complessa che, per forza di cose, esclude chiunque altro alla sua comprensione. Abbiamo provato, nella nostra, immensa, limitatezza, a ricostruire, nelle parole della figlia di Alighiero, Agata Boetti, e nelle immagini del fotografo che l’ha seguito, Giorgio Colombo, almeno qualche accennato frammento di questa memoria.

Alighiero Boetti, Cabinet de curiosités, veduta della mostra, Tornabuoni Arte, Roma, 2024

È un progetto sicuramente ambizioso, che mette in moto un certo processo di ricerca, attorno alla figura di Alighiero Boetti, per far emergere una nuova intimità nel concepire il suo vastissimo e complesso immaginario. Una domanda molto semplice, per iniziare: perché Cabinet de curiosités è oggi necessario, in un certo senso, per slegare Boetti da una certa dimensione di purissimo mercato secondario da cui non emerge più, tuttavia, una ricerca vera e propria?

Agata Boetti «È certamente un desiderio che mi sta molto a cuore, soprattutto come figlia e non solo come direttrice dell’archivio: trasmettere il suo pensiero; i suoi pensieri che rendono le sue opere così incredibilmente belle, profonde e atemporali. 20 anni fa, di Boetti si sapeva solo che apparteneva all’Arte Povera, poi è diventato “l’artista delle Mappe e ricami”. Dopo le grandi retrospettive (Madrid, Londra, New York), il pubblico ha potuto finalmente vedere l’immensità e la diversità dei campi d’azione di Boetti: ricami, opere su carta, kilim, sculture, edizioni…. Il mercato ha finito per interessarsi totalmente a Boetti, probabilmente anche perché “rassicurato” (economicamente parlando) dal lavoro dell’archivio. È arrivato il momento in cui sento il dovere di accompagnare le persone al suo pensiero, in modo che possano accedere alle opere come avrebbe voluto Alighiero: semplicemente e dunque filosoficamente».

La bellezza della mostra sta nella bellezza dell’abisso della poetica di Boetti. Nella sua singolare percezione tutto si ibrida, tutto si mescola in nuove forme: l’arte è realmente pervasiva, si addentra nei meandri più sottili di ogni aspetto della quotidianità. La mostra costruisce un percorso attorno a questa dimensione, sconfinata e pedante, scientifica ed emotiva, delle leggi che regolano profondamente la realtà. Quanto è necessario, per Boetti, nelle parole di Gabriel Garcia Marquez che sono menzionate negli apparati, “Ricomporre con tante schegge sparse lo specchio rotto della memoria”? E perché?

AB «Da quando sono piccola, sono abituata ad osservare come mio padre ammirava il mondo e come lo amava. «Bisogna essere curiosi di tutto. Studiare tutto» mi diceva spesso, sempre senza nessuna gerarchia. Concetto fondamentale per lui, è quello che lega tutti i diversi elementi del Muro, l’opera esposta da Tornabuoni Arte a Roma. Una composizione di quasi 80 elementi raccolti tra il ’72 e il ’93 e che attaccava al muro di casa: cose che gli piacevano. Nessuna era più importante dell’altra: erano tutte belle. Alla fine, sicuramente mi avrà trasmesso questo modo unico di vedere il mondo. Naturalmente ho anch’io usato la stessa tecnica per studiare la sua opera. Per costruire l’archivio, l’essere figlia non era sufficiente, anche se, certamente, molto utile: è lo studio che fa si che un archivio funziona. Come abbiamo studiato Boetti e la sua opera dal 1994? Con tutto! Attraverso tutto! Come lui! Studiare i suoi bozzetti come le sue cartoline, gli inviti alle mostre – sempre concepiti da lui -, le foto, le sue infinite liste ci fanno capire molto di più come lui affrontava e studiava il mondo. Attraverso tutti i documenti si intravede la poetica: da un’affermazione che diventa pura poesia ad una dichiarazione d’amore attraverso una cartolina che diventa pura ironia poetica oppure i bozzetti degli anni ’60».

Alighiero Boetti, Cabinet de curiosités, veduta della mostra, Tornabuoni Arte, Roma, 2024

Uno dei pregi della mostra è quello di voler insistere sulla Vita di Alighiero Boetti, il volume di scatti che lei ha realizzato con FORMA e che introduce all’esposizione. Come nella domanda precedente ad Agata Boetti, la bellezza della sua figura sta nell’esistere con l’arte e per l’arte. Un’idea difficile, quella di associare emotivamente la ricerca di un artista alla sua vita, che è introdotta dalla proiezione del video Giovedì ventiquattro settembre 1970. Un giorno ordinario che diventa assurdamente poetico. Che cosa succede, in quel giorno? Che cosa rappresenta, questa pubblicazione?

Giorgio Colombo «Questa pubblicazione rappresenta la vita dell’artista, nella sua parte privata e pubblica, dalle immagini traspare il rapporto dei momenti intimi e delle partecipazioni pubbliche tra cui, in alcuni casi, traspare anche il lavoro mentre viene fatto e quando viene rappresentato in pubblico. Ci sono gli amici, la famiglia, gli amori, i velati dispiaceri, le gioie, i momenti di attenzione al lavoro e alla frequentazione di altri artisti».

Parte delle opere esposte provengono dalla sua collezione. Svelano un’intimità nella relazione con l’artista – soprattutto quando si tratta di grandi maestri, può essere completamente inaccessibile – che fornisce una prospettiva dolce, esclusiva, sulla sua vita e sulla sua opera. In un certo modo, ricalca quell’inaccessibile, quell’impenetrabile, che l’artista sciamano può portare alla vista dello spettatore. Che cosa possiamo vedere grazie a queste tracce consunte del suo passato? Che cosa abbiamo perso, o forse dimenticato, della sua figura?

AB «Spesso Boetti è catalogato come Artista Concettuale. Espressione che trasforma immediatamente l’artista in un personaggio serio, inaccessibile, complicato. Tanta gente non si vuole neanche avvicinare all’arte contemporanea per paura di non capire, di non essere abbastanza preparata, come se l’arte contemporanea fosse fuori dal mondo. Far vedere un Boetti innamorato, attraverso cartoline d’amore, uno divertente quadrando una canzone di Eros Ramazzotti con l’affetto per me, uno fiero e impressionato di aver ricevuto una lettera di Liz Taylor, una foto da bebè con suo padre, l’invito della sua prima “bottega d’arte” e dei bozzetti di studio di opere durante gli anni dell’Arte Povera o l’allestimento della mostra a Ravenna fanno capire o almeno intuire l’immensità del pensiero di Boetti. Nella vita c’è arte e nell’arte c’è vita. Una delle lettere con gli organizzatori afgani rimette tutto in situazione e in equilibrio: loro promettono a Boetti di mandargli le diverse Mappe e tutte le tele appena ricamate, solo se Boetti non si dimentica di inviare, in cambio, le medicine necessarie per le famiglie».

Alighiero Boetti, Cabinet de curiosités, veduta della mostra, Tornabuoni Arte, Roma, 2024

La sua fotografia aiuta a concepire il progetto di questa Wunderkammer. Mi ha sempre assillato una riflessione, probabilmente senza senso: un artista che, per un lungo periodo, segue e fotografa costantemente un altro artista, in un certo modo diventa completamente partecipe della sua esistenza. Se così fosse, la fotografia può permetterci realmente, nelle parole dell’artista che l’ha scattata, di raccontarci quell’empatia tra due artisti che è, ancora più necessaria per comprendere il soggetto ritratto. Allo stesso modo, l’empatia è una dimensione che sembra scomparire. Nella nostra società ipersensibile (Flasspohler, 2023) la sensibilità si trasforma in distanza. Non si cerca più l’altro, ma si insiste – narcisisticamente – sul proprio ego. Una domanda più astratta, in questo caso: in che modo la fotografia può rompere questo meccanismo perverso e ricostruire empatia?

GC «Tutto nasce in primis per l’interesse al lavoro dell’artista, alla visione di qualche cosa che prima non c’era. Questo è il primo contatto attraverso l’opera, che, successivamente, si manifesta con l’incontro personale, subito empatico, il desiderio di acquisire l’opera, la gioia sua e mia e la conferma della disponibilità. L’inizio di una nuova amicizia e del successivo lavoro di documentazione attraverso la fotografia del maggior numero di opere, mostre e momenti di intimità, durante l’attività creativa e gli incontri. Attraverso le immagini ho cercato di dare più informazioni possibili a chi fosse disposto ad entrare anche nella filosofia del lavoro di Alighiero, senza sovrapposizioni di giudizio che rimangono personali. In alcune foto si percepisce anche il rapporto di empatia tra me e Alighiero con la partecipazione anche della mia famiglia. Non sono le immagini che ricostruiscono l’empatia ma bensì è chi le guarda che ne percepisce la carica emozionale. La fotografia può aiutare ad avvicinarsi all’arte, ma la cosa migliore è quella di avvicinarsi alle opere senza l’atteggiamento superficiale dell’attenzione, che serve per capirne il vero significato e percepirne l’evoluzione rispetto alle opere del passato. Guai a dire “Lo posso fare anch’io”».

Alighiero Boetti, Cabinet de curiosités, veduta della mostra, Tornabuoni Arte, Roma, 2024

Boetti ha ricostruito un intero universo che si esprime immediatamente. Riprendendo quella prospettiva, altrettanto sopita nella deontologia che ci accompagna all’interpretazione dell’arte – per così dire – contemporanea, di Adorno, l’arte deve essere immediata, deve stravolgere lo spettatore senza costruire alcuna sovrastruttura ma indagando la sua fruizione. Sarebbe interessante chiedersi, anche grazie a Boetti, quando mai l’arte può essere contemporanea; confrontare, forse, Boetti con Adorno potrebbe aprire nuove connessioni tremendamente curiose. Tuttavia, come può, Boetti, essere immediato? Chi è, nei vostri sguardi che, per loro natura, non possono essere che – passatemi il termine – parziali ma ricchi di significato?

GC «L’universo di Boetti, in apparenza, esprime immediatezza, in alcuni casi c’è la visione apparentemente facile del contenuto dell’opera, in realtà si deve fare uno sforzo aggiuntivo per entrare nei contenuti complessi, nei meccanismi di pensiero dell’artista e nella sua evoluzione. Non so quale sia stata l’attenzione di Boetti ad Adorno, ma nelle sue opere si percepisce una corrispondente linea filosofica, penso per esempio al rapporto con la natura. Sono convinto che Alighiero sia andato anche oltre il pensiero filosofico, guidato anche dalla necessità e dal caso e dalle cose banalmente semplici, ma portate all’attenzione del fruitore. In pratica il pensiero e il lavoro di Alighiero Boetti non si ferma davanti a nulla, tutto può essere trasformato in arte con qualunque medium disponibile. Queste sono le qualità del lavoro e della vita di Alighiero Boetti».

AB «Il tempo è sempre stato un tema centrale per Boetti. I suoi ricami sono opere che hanno necessitato tanto tempo e soprattutto tanta attesa. Boetti sapeva quando mandava i suoi lavori a far ricamare, mai quando sarebbero tornati. Avrebbe potuto essere vissuta come molto frustrante, ma invece, a Boetti piaceva dover rispettare questi tempi naturali. Diceva spesso che avrebbe amato prendere il tempo di mettersi vicino al camino a ricamare, durante serate e serate d’inverno…Come avrebbe amato passare pomeriggi a tratteggiare fogli interi di biro…Ma la sua mente non glielo permetteva, sarebbe impazzito. Non aveva la pazienza, il suo cervello andava troppo veloce…».

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