Come si modifica la nostra “percezione” della realtà e quali sono le conseguenze antropologiche di queste trasformazioni profonde del nostro stare al mondo? Cosa accade quando il progetto antropocentrico mette in pericolo l’esistenza stessa della natura e, quindi, della nostra civiltà? Nello spaesamento che caratterizza il nostro tempo, l’artista imprime un segno che ci interroga e al tempo stesso si fa presagio di nuove prospettive. Queste sono alcune delle domande su cui ci invita a riflettere SIGNUM, installazione dell’artista Gianni Lucchesi per la Chiesa di Santa Maria della Spina, straordinario esempio di gotico pisano, dal 5 marzo al 10 aprile, allestita da Carlo Alberto Arzelà, illuminata da Davide Groppi e promossa dal Comune di Pisa, Archivio Dolfo e dalla galleria IPERCUBO.
Come un segno, un’impronta o quasi un segnale, l’opera, realizzata in laboratorio e semplicemente appoggiata sul pavimento della Chiesa, senza alcun tipo di interferenza, è capace di creare l’illusione di una rottura profonda sul pavimento dell’edificio che mira a sottolineare il rapporto complesso tra uomo e natura. L’azione dell’uomo ha infatti un impatto sul patrimonio artistico e quello ambientale. La luce, elemento funzionale alla drammaturgia dell’installazione, coinvolge il pavimento e la scultura della Madonna della Rosa di Andrea e Nino Pisano.
«Per il piccolo gioiello architettonico della Chiesa di Santa Maria della Spina a Pisa, ho pensato di rinunciare a considerare il volume della chiesa come un contenitore espositivo», racconta Gianni Lucchesi. «All’interno delle suggestive mura di un’architettura sacra, dove lo spirito viene sollecitato indipendentemente dal proprio credo, accade qualcosa, la manifestazione di un forte segnale, di un sintomo».
«Sotto il selciato c’è (ancora) la spiaggia? In questa frase che trasforma in interrogazione uno degli slogan più famosi del maggio parigino, sembra essere contenuta la chiave di volta del ‘segno’ impresso da Gianni Lucchesi. Se, infatti, quelle giornate del maggio annunciavano un nuovo mondo carico di promesse, in realtà segnavano anche, e forse soprattutto, il tramonto della civiltà moderna e quindi la fine di una ‘percezione’ del mondo che aveva messo al centro l’uomo e il suo progetto sulla natura» spiega il critico Nicolas Martino, autore dei testi in mostra.
È lo spaesamento del nostro tempo, è l’ansia per il futuro, soprattutto nelle nuove generazioni, è il rapporto, sempre complicato, tra umano, natura e spiritualità, che spinge l’umano a ritrovare la “teologia della natura”. Da qui l’intento dell’artista di rappresentare il sintomo latente, inteso come qualcosa che rimane nascosto e che non appare esternamente se non attraverso la deformazione della morfologia e, quindi, di lavorare sul pavimento della chiesa che rappresenta il fondamento della fede, l’umiltà, il credere a ciò che non si vede.
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