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Alla Fondazione Galleria Milano ha aperto l’archivio Somaré, con un’antologica dedicata al pittore
Arte contemporanea
Il ciclo di opere l’Oceano Nox (2000-2012) traccia un orizzonte lungo tutta la parete. Sono acquarelli, pitture minuziose dalle piccole dimensioni racchiuse da curiosi cornici scelte da Sandro Somarè (Milano, 1929 – Lucca, 2012). Un mirino punta al sole offuscato nelle tonalità plumbee del colore, oppure alle conformazioni paesaggistiche dell’isola di Rodi, in Grecia, a cui l’artista era particolarmente affezionato. Lo sguardo ne percorre la linearità e da un’inquadratura pittorica all’altra, dalle fronde, alle dune, alle acqua ne attraversa il sapore, il profumo, la dolcezza. Dell’isola Somarè ne aveva un sogno piratesco. Immaginava nella fase finale della sua vita di andare a Rodi, nel paese di Lindos, e di ritrovarsi lì con i suoi amici come dei moderni Ulisse, capitani di vascello che sarebbero tornati alle loro origini per giocare a carte, parlare di arte e cultura tra il vento caldo del mare e il suo andamento oscillante. Esattamente come racconta il dipinto chiave di questo ciclo, e della stessa mostra: L’Anse des amis, la baita degli amici di Rodi.
La Fondazione Galleria Milano presenta la mostra retrospettiva e antologica di Sandro Somarè a cura di Nicola Pellegrini, Ornella Mignone e Bianca Trevisan. Visitabile fino al 30 novembre, l’esposizione è stata realizzata in occasione dell’apertura dell’Archivio Sandro Somarè e della presentazione del catalogo generale, frutto di un lungo lavoro fortemente desiderato da Patrizia Ascari Somarè e Carla Pellegrini Rocca, direttrice della storica Galleria Milano.
La mostra abbraccia la poetica artistica del pittore dagli esordi negli anni Cinquanta fino alla morte sopraggiunta nel 2012, con delle opere simbolo che ne ripercorrono tutte le fasi. Sandro Somarè nasce da una famiglia d’arte. Suo nonno materno Cesare Tallone era insegnante di pittura all’Accademia di Brera, suo padre Enrico Somarè un illustre critico d’arte e le professioni dei suoi zii spaziavano dalla tipografia alla musica. Prima di diventare pittore ha esplorato la carriera cinematografica, un modo per lasciarsi la città alle spalle e trasferirsi a Roma. «Mi mancava un pizzico di esibizionismo per poter fare l’attore» si legge in uno dei documenti storici in mostra che contestualizzano la ricerca e la figura dell’artista. È nei pomeriggi vuoti della capitale del ‘54 che Somarè iniziò a dipingere, quasi d’istinto, e «la pittura che ha nel sangue finalmente si era mostrata e ora gli determinava il corso delle idee, gli ordinava le sequenze delle immagini». Le prime opere erano spazi per figurazioni carnali morfologiche, oniriche, affini a un immaginario surrealista che incarnavano qualcosa di internamente inquieto e sincero. Poi seguite da un’iniziale interesse per il paesaggio dalle atmosfere cupe, malinconiche, ricomposti in assetti geometrici dalle tonalità morbide; fino alla sintetizzazione formale attraverso lo studio della luce che diventa materia, tradotta in una tecnica che metteva insieme tempere, colle e pastelli. Qui i soggetti si fanno come corpi accartocciati contenuti in architetture d’esterni e d’interni di case milanesi in stile Liberty, appartenenti a un ordinario sofisticato e malinconico. Negli stessi anni, Somarè fonda nelle stanze di un palazzo di Via Spiga la nuova Galleria Milano con il fratello Guido, anch’esso pittore, proseguendo la strada del padre che fu costretto a chiudere l’omonima galleria a causa della guerra nel 1938. Inaugurata insieme agli amici e colleghi Aldo Bergolli, Gianni Dova e Mario Rossello la direzione venne affidata a Carla Pellegrini Rocca, creando ottime occasioni per diversi momenti espositivi. Da ultimo, la mostra nella Fondazione ripercorre le fasi della rappresentazione della città e della periferia, con una fascinazione verso l’antico e le rovine dai muri che fanno da sfondo ad aperture paesaggistiche; insieme alla serie pittorica astratta dal blu intenso Hölderlin, dedicata alla memoria del celebre poeta tedesco.
Quella di Sandro Somarè è stata una pittura dal lessico narrativo, talvolta autobiografico. Un orizzonte tracciato da una mano e da uno sguardo in viaggio, in una navigazione esplorativa verso un’ultima baia immaginata da sempre come un luogo amato.