Alla ricerca del sé: a Roma, Studio GIGA presenta la mostra SELFNESS

di - 16 Dicembre 2023

Nel cuore di Roma, in via del Governo Vecchio 43, si trova Studio GIGA, un’associazione culturale nata nel dicembre del 2005, ormai consolidata come punto di riferimento per l’arte emergente. Studio GIGA si distingue per la sua apertura a una vasta gamma di iniziative culturali, abbracciando esposizioni d’arte, proiezioni, convegni, e qualsiasi manifestazione che favorisca la diffusione dell’arte contemporanea in tutte le sue forme. Per comprendere appieno questa missione, è possibile esplorare la loro mostra più recente, intitolata Selfness. Gli artisti coinvolti nella mostra hanno collaborato e collaboreranno con la NO project Room di San Lorenzo, uno spazio espositivo temporaneo con curatela di Matteo Peretti e parte di Ombrelloni Art Space.

La mostra Selfness è stata curata da Bianca Catalano e Matteo Peretti, e ha offerto una variegata esposizione di opere d’arte che spaziano dalla pittura all’arte multimediale, dall’installazione site-specific alle opere partecipative, ponendosi l’ambizioso obiettivo di utilizzare l’arte contemporanea per affrontare una delle sfide più significative dei nostri tempi: l’identità individuale nell’era della crescente collettività digitale. I sei artisti coinvolti sono stati Crollame/Marcello del Prato, Elena Ketra, Jennifer MacLaren, Salvatore Mauro, Giuseppe Palmisano, Alessio Facchini; attraverso le loro opere, ciascun artista ha comunicato il proprio SELFNESS.

Una provocatoria domanda ha catturato immediatamente l’attenzione: lasceresti il tuo telefono per 24 ore? Questo interrogativo fa parte dell’installazione relazionale dell’artista Giuseppe Palmisano. “Solo” sette coraggiosi individui hanno accettato, rivelando quanto possa essere difficile staccarsi dalla dipendenza dai dispositivi digitali. In effetti, il rifiuto di questa sfida rappresenta già una sfida in sé.

L’installazione video This is Agio di Alessio Facchini cattura perfettamente questa sensazione di smarrimento che la società moderna impone quotidianamente, dove le notizie e le informazioni arrivano in modo veloce e sfuggente. L’abbondanza di notizie, ricche di colori e suoni intensi, sfuggono via rapidamente, come un riverbero fugace nella mente, riflettendo così un mondo che appare superficiale, confuso, fratturato.

Si arriva a percepire il peso di questa frattura con le opere di Salvatore Mauro, in dialogo con lo spazio artistico, che coniuga presa di coscienza di sé e frantumazione dell’io. L’opera Materia Viva nasce dopo una maggior consapevolezza dell’artista del periodo pandemico e post pandemico, che ci ha messo di fronte a noi stessi e alla nostra solitudine, che ha messo in crisi il sistema IO-mondo virtuale, ma “non potevamo prevedere che ognuno di noi sarebbe diventato attraverso i suoi social un continuo sponsor di sé stesso, diventando materia viva del mondo digitale”, spiega Salvatore Mauro. Il fulcro dell’opera è rappresentato dallo specchio e dalla sua moltiplicazione che suggerisce l’immagine di un sé scomposto in innumerevoli frammenti, che si disperdono nell’opera come in una vera esplosione. L’artista spera che lo spettatore che si riflette sull’opera, cerchi di unire le sue parti mancanti come in un puzzle del suo io, ma come afferma l’artista “non è una cura per distaccarsi dai social, ma cercare di mettere l’atto creativo davanti all’anima virtuale, che ormai ha preso il sopravvento”.

E così accanto alla frantumazione, Elena Ketra ci invita a una riconciliazione con sé stessi attraverso la potente dichiarazione: Nontiscordardite impressa su uno specchio integro; ci esorta ad un amore più genuino per sé stessi, aprendo la strada a relazioni più autentiche con gli altri. Come seguito a questa affermazione, Elena Ketra introduce una innovativa performance digitale: un’app che offre l’esperienza della sologamia, il matrimonio con sé stessi, un fenomeno sociale ancora poco conosciuto in Italia.

Il pubblico è stato invitato a partecipare, inserendo i propri dati e rispondendo alle fatidiche promesse “in virtù dell’arte e dell’amore”. Come racconta Bianca Catalano non tutti si sono sentiti pronti a partecipare, alcune persone hanno addirittura sollevato la domanda se fosse possibile una separazione in futuro. Tuttavia, in molti hanno risposto con determinazione, specialmente dopo aver condiviso esperienze di vita che li hanno spinti a dedicarsi completamente agli altri. Chiunque desideri unirsi in matrimonio ha ancora l’opportunità di farlo attraverso il sito di sologamy.org.

Il dialogo con il proprio io prende vita in un contesto più intimo, una camera da letto, luogo in cui è più agevole esplorare la conoscenza di sé stessi per affrontare e risolvere i propri labirinti interiori. Marcello del Prato, in arte Crollame, crea un’installazione site-specific per invitarci nel suo archivio dell’anima, una “parete ipotetica” che presenta i suoi schizzi, disegni, collage, acquarelli, ricordi personali; un luogo ricco di simbolismo e introspezione che rivela un conflitto interiore ancora irrisolto. L’opera richiama le teorie di Freud e la psicanalisi, ma evoca anche la profondità emotiva dei dipinti di Francis Bacon.

L’installazione Tent/Unrestricted Area di Jennifer McLaren lega la sua storia personale all’empowerment femminile. L’artista ha subito tragedie personali, come la scomparsa del nonno, mai conosciuto, durante la guerra in Vietnam e la morte prematura del fratello maggiore nella guerra in Iraq nel 2008; esperienze che si riflettono nel suo lavoro artistico. La tenda simboleggia in modo evocativo la ricerca di rifugio e la porta della tenda richiama in modo simbolico il mondo delle donne, con un chiaro riferimento alla forma dell’organo femminile, in contrasto con la superficie della tenda con l’evidente pattern militare. Anche nel secondo riparo, il velo, colori accesi e note floreali si confondono tra i colori del conflitto armato. L’artista conduce, attraverso la sua arte, un’intensa operazione di demistificazione personale.

Con Selavy di Salvatore Mauro, saluto la mostra. L’artista, con un chiaro omaggio a Duchamp, gioca con le parole che, con la loro straordinaria capacità di mutare la loro forma senza perdersi nel significato, riflettono la complessità della vita umana con tutte le sue imperfezioni. Ciò che emerge infatti dalla mostra è un ritratto del nostro presente, con le sue contraddizioni e la sua mutevole natura.

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