Lo spazio, nella dicotomia con il territorio e con tutte le sue altre sfumature di senso e di significato. E, in un certo senso, anche il tempo. All’Archivio Agnetti di Milano, sarà visitabile fino al 15 luglio “Spazio/Territorio. Quattro artisti: un dialogo con Vincenzo Agnetti”, a cura di Giorgio Verzotti, mostra che inaugura un nuovo ciclo espositivo intitolato “Andata e Ritorno”, per mettere a confronto le opere del grande artista concettuale con quelle di artisti di generazioni più giovani, per esplorare le diverse declinazioni della sua opera, riletta alla luce delle esigenze culturali attuali. L’Archivio Agnetti pubblicherà un Quaderno di approfondimento che raccoglierà le mostre 2022/2023 del nuovo ciclo “Andata e Ritorno”.
Figura di primo piano nel panorama dell’arte concettuale, l’intensa attività artistica di Vincenzo Agnetti è concentrata in 15 anni, dal 1966 al 1981, e trae linfa da uno straordinario lavoro, iniziato ancor giovanissimo, di ricerca e di sperimentazione nel campo della poesia, della pittura e della tecnologia. Agnetti ha viaggiato molto, accumulando scritti, progetti, schemi, idee, costruendo e sedimentando nei suoi “Quaderni argentini” quello che esprimerà nel suo lavoro, in modo da “iniziare dalla fine”, come egli stesso scriverà. Il fermento degli anni ‘70 è il contesto ideale per sviluppare il suo discorso: le sue opere si propongono come strumenti critici che si incuneano nella ricerca dell’intervallo, dell’interspazio, del margine. Si tratta di critica operante che ingloba aspetti della politica, del linguaggio, dell’arte. La ricerca del negativo, propria di quegli anni, trova in Agnetti uno dei suoi massimi esponenti e si svilupperà lungo tutto il suo percorso con modalità espressive e tecniche di volta in volta diverse, all’incrocio tra tecnologia, arte e poesia.
Il medium espressivo per Agnetti è organico al discorso che vuole rappresentare, per questo la sua ricerca sui differenti modi di creare arte, sulle tecniche e sui materiali è così importante: la parola, l’immagine fotografica, la tecnologia manipolata, la carta fotografica esposta e graffiata, la scultura accompagnata alla fotografia e ancora alle registrazioni e ai video, le installazioni, le performance sono sempre utilizzati come supporto del progetto artistico. Artista concettuale che non espone concetti ma li costruisce e li rende visibili e percepibili all’occhio dell’osservatore, che può decodificare il senso delle sue opere e che, entrando nel suo spazio, è invitato a entrare i contatto con un mondo visionario, paradossalmente ancorato alle emozioni.
Presentato dall’Archivio Agnetti, il progetto verte dunque sullo spazio, a partire dai concetti elaborati da Vincenzo Agnetti. Per giungere alle opere dei quattro artisti coinvolti: Sergio Limonta, Filippo Manzini, Cesare Pietroiusti, Luca Vitone.
Sergio Limonta mette a confronto le sue bandiere allungate in modo sproporzionato con quelle elaborate da Agnetti nella definizione di uno spazio geopolitico. Filippo Manzini espone le sue fotografie in bianco e nero e a colori in cui lo si vede intervenire negli spazi urbani con le sue sbarre metalliche come sculture effimere. L’artista identifica “spazio esistenziale” quello a cui alludono alcuni feltri di Agnetti, per esempio “Abitato dalle cose e dal respiro”.
Lo spazio istituzionale, il “Corfine” – la “cornice” del quadro ma anche quella dell’intero sistema dell’arte, definisce un “confine” – viene affrontato dalle opere di Cesare Pietroiusti, che si possono prendere gratuitamente dagli spazi espositivi ma che poi non si possono vendere, pena la perdita di ogni valore economico. All’istituzione si risponde col paradosso, una pratica molto frequentata da Agnetti. Oggi, 18 maggio, dalle 16 alle 22, il pubblico potrà staccare un disegno dall’installazione di Cesare Pietroiusti all’Archivio Agnetti, composta da circa 200 disegni, e portarlo via.
Luca Vitone espone alcuni suoi lavori sulle comunità Rom, il popolo nomade opposto a ogni territorialità, tra i concetti centrali indagati da Agnetti con i suoi feltri, le grafiche e gli assiomi sull’argomento, fra tutti “Misurare lo spazio è solo e solo un gesto di appropriazione territoriale”.
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