-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Alle OGR di Torino, Monica Bonvicini mette a nudo i misteri familiari
Arte contemporanea
Ogni spazio espositivo pone l’artista di fronte a una scelta critica, in particolare se si tratta degli ambienti delle OGR – Officine Grandi Riparazioni. In occasione della settimana più calda dell’anno per i circuiti dell’arte contemporanea, la sfida è stata raccolta da Monica Bonvicini, che ha presentato “As Walls Keep Shifting”, a cura di Nicola Ricciardi con Samuele Piazza, ambiziosa personale nell’area del Binario 1 delle OGR di Torino.
Monica Bonvicini alle OGR: una scenografia ibseniana
La mostra prosegue l’indagine che l’artista, vincitrice del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999, conduce da sempre sull’ambiguità delle strutture architettoniche, non solo descrivendone la valenza coercitiva e patriarcale, visibile principalmente a livello sociale, collettivo, ma mettendone a nudo anche l’intromissione nella sfera intima.
In “As Walls Keep Shifting”, citazione da House of Leaves, romanzo di Mark Z. Danielewski, Bonvicini racconta, con eleganza e intelligenza, le piccole storie quotidiane e oscene che si svolgono tra le mura domestiche, i capovolgimenti dei ruoli e dei generi, i gesti minimi e violenti legati alle abitudini, risvoltando la casa come se fosse il retro di un palcoscenico borghese di ibseniana memoria.
Nella cruda penombra dell’ex stabilimento, in cui i segni della storia industriale risaltano con potenza, si staglia la sezione scheletrica dell’opera che dà il titolo alla mostra: una villetta bifamiliare su due livelli, tipica abitazione diffusa nelle periferie del nord Italia. Le pareti sono vuote, incompiute ma l’interno, lasciato a vista dalla nuda struttura in legno, rivela la stratificazione di un attraversamento, come se la costruzione si fosse interrotta ma l’esistenza degli inquilini avesse continuato a svolgersi, incurante degli sguardi degli estranei. In questa ambientazione, trovano spazio diversi elementi emblematici della ricerca di Bonvicini, come White Out, una scultura composta da una serie di neon caoticamente legati in un fascio luminoso, che si contrappone all’oscurità di un tappeto nero, realizzato intrecciando decine di cinture di cuoio.
La ricezione dell’opera in un contesto espositivo rende accettabile l’esercizio di potere del voyeurismo e i fruitori possono provare l’inebriante sensazione di controllo nell’osservare il ritaglio di una scena inquadrata da una finestra. Inchiodati agli elementi in legno della sezione, piccoli stralci di testo descrivono lo svolgersi di azioni e sensazioni domestiche, come in un rebus che ci proietta immediatamente nella narrazione di una scena familiare, di cui riconosciamo i canoni e le implicazioni.
Il progetto Italian Homes
Lo schema della villetta bifamiliare, sdoppiato e con poche variazioni sul tema, ritorna come un modulo in Italian Homes, un’ampia serie fotografica, alla quale Bonvicini ha lavorato negli ultimi due anni, che fa da sfondo all’installazione in primo piano e la completa, integrandosi con l’impressione monumentale ma desacralizzata di As Walls Keep Shifting. Una lunga teoria di abitazioni la cui impostazione progettuale risulterebbe identica ma, chirurgicamente tagliate a metà da diversi interventi di ristrutturazioni e facciate di colori opposti o complementari, portano i segni degli individui che vi abitano o che vi hanno abitato. Facendo strizzare l’occhio per cogliere la difformità e sottintendendo i ritmi, i gusti e le attitudini che delineano i misteri della vita privata.