Deacon Street è una delle migliaia di piccole strade secondarie che, intersecandosi in un fitto reticolo di angoli acuti, compongono la pianta modulare, ossessivamente squadrata, di Detroit. Entrambi i lati della strada sono scanditi da una fitta sequenza di case ad assi di legno verniciate di un bianco che sa di screpolature. La metratura è simile, cucina e zona giorno a piano terra, camere da letto di sopra. Tutte hanno il tetto a spiovente e qualcuno vi ha ricavato uno stretto patio. Non ci sono steccati, i prati non sono particolarmente curati. D’altra parte, il quartiere di Boynton, di cui Deacon Street è una strada secondaria, è tra i più inquinati della città che, una volta, era la capitale dell’automobili e che, dopo la bancarotta dell’amministrazione cittadina nel 2013, prova a reinventarsi come epicentro di una strategia industriale. La conformazione della polvere che si posa su queste crepitanti assi di legno è molto diversa da quella sedimentata sul piperno scuro, la roccia vulcanica, cristallizzata dalla salsedine, che fa da piano di calpestio del Cortile d’Onore del Palazzo Reale di Napoli.
Sembra l’effetto di una disfasia onirica o l’esito di una ironica eterotopia da storia dell’architettura, questa casetta rigidamente squadrata, le cui umili assi di legno bianche paiono essere maturate, nello spazio di una notte, tra le pietre, gli stucchi e le ampie vetrate del cortile nobiliare partenopeo. Come una escrescenza ibrida, organica e ingegneristica insieme, questa superfetazione di stili e materiali risalta come un insulto o uno sberleffo, un atto di resistenza, controparte oscena del linguaggio egemone e solidificato. È la casa di Rosa Parks, anzi, non proprio la casa ma qualcosa di diverso. Perché, nel caso specifico, si tratta di un monumento, cioè la declinazione ambientale della storiografia che poi, però, assume anche una sfumatura di altro, come lascia intendere la definizione ufficiale dell’Unesco, quando ne cita il “valore universale eccezionale”, cioè unico, irripetibile.
Dunque, quasi una casa ma non proprio, perché la qualità dell’oggetto, pur non essendo riferibile alla sua funzione abitativa, tuttavia assume valore proprio in quanto già abitazione, reliquia evocativa di una vita privata diventata poi materia pubblica. Oppure, quasi a casa ma non ancora arrivati, cioè “Almost Home”, come suggerisce l’ambiguità linguistica del titolo del progetto itinerante di Ryan Mendoza che, dopo aver smontato – e salvato da una probabile demolizione – la casa di Detroit in cui la storica attivista per i diritti afroamericani visse per due anni, l’ha ricostruita esattamente come era ma nel vecchio Continente. Prima a Berlino, di fronte al suo studio e, adesso, a Napoli, in collaborazione con la Fondazione Morra Greco, la Regione Campania e la Direzione Regionale dei Musei.
Sono passati 65 anni e qualche mese da quel tardo pomeriggio di giovedì, 1 dicembre 1955, quando Rosa Parks, tornando a casa dopo aver staccato dal grande magazzino di Montgomery, Alabama, in cui lavorava come sarta, rifiutò di cedere il posto a un passeggero bianco, nonostante le intimazioni dell’autista, James Fred Blake, anch’egli passato alla storia. E consegnati ai posteri, come testimonianze di una vicenda subito avvertita come capitale e che, infatti, suscitò immediatamente azioni di protesta e boicottaggio guidate da Martin Luther King, sono stati anche il foglio della multa inflitta alla donna e l’autobus, con il numero 2857 impresso sulla lamiera gialla, esposto, tra varie altre mirabilia, all’Henry Ford Museum di Dearborn. Oggetti sui quali la polvere non si posa, toccati da una luce sempre uguale, sempre misurata.
In questi lunghi mesi, così densi di avvenimenti, acqua e vento hanno inciso il proprio passaggio sulla casa-monumento che Ryan Mendoza ha ricostruito in un cortile di basolato scuro e dal passato nobile e celebrativo, all’aperto sotto il cielo di Napoli. Anzi, non proprio una casa e nemmeno un monumento, visto che l’abitazione che fu in Deacon Street, a gennaio 2021 se ne andrà anche da qui, per far dialogare la sua storia con quella di altri contesti, aprendo il vetro sottile e tenace delle sue finestre al riflesso di chissà quali altre architetture.
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