Il CSDCA – Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena presenta Angels Listening progetto a cura dell’artista Rachel Lee Hovnanian. Si tratta di un evento collaterale della 59ma Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia. Concepita come un’installazione performativa e scultorea, Angels Listening invita gli spettatori a un’esperienza immersiva. La mostra viene presentata alla Biblioteca Zenobiana del Temanza e nel suo giardino a Dorsoduro, storico edificio veneziano del XVIII secolo, che dal 1991 è sede del CSDCA. Abbiamo intervistato Rachel Lee Hovnanian, per conoscere i particolari di questa profonda e suggestiva installazione performativa e scultorea.
Angels Listening è composta da sette angeli, sculture di grandi dimensioni fuse in bronzo bianco, resi muti da nastro adesivo posizionato sulla loro bocca, perché questa scelta? In che modo lo spettatore viene invitato a comunicare con essi?
«Angels Listening mette in mostra sette angeli, come sette sono i giorni nella settimana, sette le bande di frequenza e colori che creano lo spettro visibile e sette le unità di misura fondamentali. Ci sono sette stelle che formano le costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore, sette virtù celesti e note musicali e sette peccati capitali. Sette è il numero delle colline che compongono Roma, il nucleo della cultura occidentale, e sette è il numero buddista della completezza. I sette angeli sono stati silenziati creando di proposito le figure cherubiche con due pezzi di nastro adesivo scolpiti in bronzo sulle loro bocche, rappresentando la soppressione della verità e offrendo una riflessione sul ruolo dell’arte in questa congiuntura storica e sociale senza precedenti».
In che modo lo spettatore viene invitato a comunicare con essi?
«Invito gli spettatori a scrivere su un nastro i loro pensieri più intimi, siano essi repressi per paura del giudizio altrui o per pura incapacità di esprimerli. In un atto performativo di sollievo emotivo attraverso la catarsi, il visitatore deporrà i nastri in una scatola mentre suonerà una campana del risveglio che simboleggia il ruolo degli angeli come muti ascoltatori. Alla fine di ogni giornata, i messaggi verranno estratti dagli schemi e raccolti come un flusso di coscienza collettivo su stuoie simili a tappeti da preghiera, sparse nel giardino dello spazio espositivo, stimolando l’interpretazione personale del pubblico».
Quali sono i motivi legati alla scelta dell’iconografia dell’angelo?
«L’angelo è una figura universale, presente nei testi religiosi zoroastriani e in quelli delle principali fedi monoteiste, tra cui cristianesimo, ebraismo e islam. Figura dai tratti antropomorfi e divini, gli angeli sono al servizio del progresso spirituale dell’essere umano».
È possibile rintracciare in questo un parallelo con gli avvenimenti che stanno interessando l’Europa in questo periodo?
«La grande ironia di questo lavoro è che la sua creazione è avvenuta durante un momento di osservato silenzio. L’opera risponde essenzialmente al concetto del silenzio e all’essere messi a tacere. Inoltre, nel creare quest’opera ho percepito, come artista, un desiderio di connessione. Dando voce a coloro che hanno bisogno di sollievo e connessione, mi sento allo stesso modo sollevata e connessa. Nella mia installazione, mentre i partecipanti si interfacciano con un confessionale d’argento circondati da un coro di angeli, mi sento meno isolata. Lo spettatore può scegliere o meno di interagire con l’opera avviando questo processo di sollievo emotivo nel confessionale. Coloro che scelgono di non condividere e rimangono in silenzio, sono invitati a interagire silenziosamente con gli angeli. Credo che anche i social media possano fornire lo stesso sollievo emotivo nel mondo. Il silenzio del passato ha inaugurato una tecnologia che non si ferma e la guerra in rete incontra cittadini che utilizzano nuovi modi per dare voce ai loro pensieri. Il mondo ora ha miliardi di cittadini la cui voce è legata dalla tecnologia. È qui che credo ci sia speranza per chi non può ancora esprimersi. E siamo tutti in ascolto».
La mostra viene presentata alla Biblioteca Zenobiana del Temanza e nel suo giardino a Dorsoduro, storico edificio veneziano del XVIII secolo, che dal 1991 è sede del CSDCA. In che modo la mostra comunica con questo ambiente?
«Il Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena è un luogo sacro e sono onorata di presentare il mio lavoro nelle sue mura. I silenzi si trovano non solo nelle pagine di storia ma più in generale nel modo in cui le società ricordano il passato e raccontano storie. Sappiamo che il nostro presente è tanto incerto quanto il nostro passato. Questo spinge ciascuno di noi ad esaminare a fondo i silenzi storici di avvenimenti pieni di dolore, in cui vittime senza voce di genocidi, guerre, stupri, torture, abbandono e vergogna soffrono per generazioni segnando il loro passato e il loro presente. Ci viene quindi ricordato nel presente di trovare, condividere e ascoltare storie che sfidano e resistono al silenzio. Abbiamo la responsabilità comune di riconoscere il silenzio di coloro che sono e sono stati senza voce».
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