Adam Parker Smith, artista newyorkese noto per le sue installazioni che giocano con le origini classiche della scultura occidentale, ha appena lanciato una nuova mostra di opere all’aperto, intitolata “Oneiroi” e realizzata in collaborazione con Ever Gold Projects e The Hole.
La parola “Oneiroi” deriva dalla mitologia greca ed era usata per indicare delle divinità minori, generati da Nyx o Notte, personificazioni dei sogni con l’aspetto di demoni dalle ali nere. Smith, attraverso le sue nuove opere, canalizza la somiglianza di queste figure mitologiche con un tocco “pop”, impiegando colori vivaci e sagome stravaganti che quasi ricordano, a primo impatto, le sculture dell’artista statunitense Jeff Koons. Gli Oneiroi di Adam Parker Smith sono esposti negli spazi del McEvoy Ranch, in California, conosciuto, oltre che per i suoi progetti di arte contemporanea, anche per gli ottimi raccolti di olive e uva.
Con questi pezzi, l’artista esplora «Le strane giustapposizioni e combinazioni che si verificano nel nostro subconscio, che sono accessibili qui per informare in modo creativo le decisioni della mente cosciente», secondo una sua dichiarazione.
Riguardo all’ispirazione che ha portato alla realizzazione delle sculture, Smith spiega che «In un sogno recente, mi sono ritrovato a camminare attraverso una valle arida piena di statue totemiche e umanoidi fatte di terra e argilla. Nessuna di queste sculture era mia, né quella di alcun artista contemporaneo di cui io sia a conoscenza. Sembravano invece artefatti culturali forse di un’altra dimensione o qualcosa appena oltre la mia portata, una storiografia alternativa di pratiche scultoree. Alcune opere erano dai colori vivaci mentre altre portavano la patina e la qualità polverosa delle rovine.
Anche le caratteristiche umanoidi erano in vari stati di discernibilità , alcune appena rese, altre fatiscenti e non descrittive. Eppure, nessuna delle statue gareggiava per lo spazio o l’attenzione, apparivano tutte insieme ed ognuna era meravigliosa. Sebbene non comprendessi le intenzioni dei loro creatori, mi sentivo connesso a ciascuna opera con un tipo di familiarità distante».
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