Giugno 2023. Si aprono le porte di Art Basel in Svizzera, e con lei anche tutta la città che si trasforma in un museo diffuso e a cielo aperto per l’intera settimana. Diretta per la prima volta da Vincenzo De Bellis, l’occasione di Art Basel si riconferma anche quest’anno il momento di incontro e scambio piú vivace del territorio elvetico e tra quelli piu osservati e partecipati su scala internazionale. Forte di un mecenatismo storico, che è divenuto pilastro portante della società e un modello culturale ad ampio raggio, Art Basel ha nel tempo rivolto il proprio sguardo verso le sperimentazioni del contemporaneo contribuendo in maniera significativa alla promozione dell’arte e del suo mercato – quel mercato tanto necessario quanto contraddittorio – che, nella città di Bâle (cosi anche chiamata dagli svizzeri di lingua francese), si presenta ogni anno al mondo. Nata dai tre galleristi Ernst Beyeler, Trudl Bruckner and Balz Hilt negli anni ’70, Art Basel genera da subito una risposta positiva da parte degli operatori e del pubblico dell’arte internazionale, mantenuta e cresciuta grazie a proposte inedite e anticipatrici. Tra queste, la promozione del medium fotografico negli anni ’80, la fondazione del settore dedicato all’arte filmica negli anni ’90 o, ancora, la realizzazione della piattaforma ‘Art Unlimited’ negli anni 2000 che – per la prima volta in una fiera d’arte – trascendeva il concetto di esposizione tradizionale dedicandosi invece alla costruzione di display capaci di accogliere installazioni ambientali di grandi dimensioni.
A suscitare particolare interesse oggi in fiera è proprio quest’ultima, che presenta opere monumentali, “progetti mai visti prima e realizzati direttamente all’interno dello spazio” come ci dice Giovanni Carmine che, per il terzo anno, cura Unlimited. <<Gli artisti sono tutti molto attenti a cosa succede nel mondo>> continua, e questo lo percepiamo osservando alcune opere che divengono enigmatiche dell’edizione 2023. Tra queste, la grande video installazione all’ingresso Jam Proximus Ardet, la dernière vidéo (2021) di Adel Abdessemed, presentata da Galleria Continua, che pone di fronte allo sguardo dei visitatori un’imbarcazione in fiamme nel tentativo di fare una traversata in mare, come in un atto empirico di resistenza che diviene infine fortemente simbolico. Di particolare valore storico-artistico è anche l’opera The African Library (2018) di Yinka Shonibare CBE RA che, confrontandosi apertamente con il tema della de-colonizzazione, si presenta come una biblioteca composta da centinaia di libri rivestiti da un tessuto colorato in cera riportanti i nomi di figure indicative della storia africana. Sull’interrogazione della storia e sul tentativo ri-scrittura si confrontano anche i lavori di Felix Gonzalez-Torrez (Untitled, 1990) e Adam Pendleton (Toy Soldier, 2021-22) rivolgendosi al monumento nello spazio pubblico e all’icona coloniale.
Tra le opere in mostra, i video hanno un tiro di particolare qualità, che emerge chiaramente sul resto. Tra queste, l’ultimo lavoro filmico di Christian Marclay Doors (2022), 54 minuti di un video-collage monumentale che vede il montaggio labirintico di microsequenze – prese da film di ogni epoca e collezionate nel corso di dieci anni dall’artista – in cui porte che si aprono e si chiudono sono orchestrate una dopo l’altra creando una narrazione tra presenza e assenza, tra diverse temporalità e universi diegetici, tra attrici e attori. Infine, l’opera piú rampante che con ironia interroga la storia dell’arte e i percorsi di educazione artistica è Čiurlionis Gym (2023) di Augustas Serapinas. L’opera si presenta come una palestra con attrezzi attivata da performer/body builders in cui, al posto dei pesi per il training, vi sono copie di teste e busti di sculture classiche.
Uscendo da Unlimited nel centro di Messeplatz, Latifa Echakhch e Luc Meier presentano un grande progetto dedicato al suono, concepito come una scultura composta da due palcoscenici che collidono tra loro e sui quali sono stati programmati sei giorni di performance attivate da diversi artisti. Anche quest’anno non mancano i parcours di Art Basel – i percorsi tra i luoghi della città che ospitano installazioni pubbliche. Tra le 24 opere che abitano lo spazio urbano si caratterizzano quelle delle artiste Laure Prouvost e Shilpa Gupta, che utilizzano entrambe il segno e la parola per lanciare messaggi che non sembrano poter trovare altrimenti immagine o rappresentazione: Dreaming of no Front Tears (L. Prouvost) e I Live Under Your Sky Too (S. Gupta).
Lasciando Art Basel visitiamo Liste, la fiera che presenta le gallerie emergenti da tutto il mondo. Liste ci accoglie con l’installazione In Curved Water di Tomoko Sauvage che mette a nudo il processo di scioglimento del ghiaccio per creare una perpetua improvvisazione sonora in collaborazione con l’ambiente circostante. Tra i progetti delle gallerie italiane in mostra emergono Gian Marco Casini (Livorno) e Clima (Milano), rispettivamente con le opere degli artisti Clarissa Baldassarri – che presenta l’installazione in continua trasformazione Alla fine della fiera, restituendo il suono prodotto nello spazio da cose e persone attraverso dati in formato stampa – e Valerio Nicolai – con un’opera installativa composta da un’improbabile divano giallo che discute ad alta voce i modi possibili per cucinare una carbonara senza soluzione di continuità. Guardando invece alla scena elvetica, anche quest’anno gli Swiss Art Awards vengono presentati in occasione di Art Basel.
Dentro un hangar adiacente a Liste troviamo esposte le opere dei finalisti dei cinque premi dedicati alla ricerca artistica. Tra questi meritano una menzione il duo svizzero-serbo Stirnimann-Stojanovic che con l’opera Win-Win For Life ci parlano della precarietà e della dimensione speculativa della vita nell’era del capitalismo. L’opera è un mosaico composto da centinaia di biglietti della lotteria comuni in Svizzera (win for life) che prevedono un sussidio di 4000 franchi al mese per vent’anni a coloro che ne divengano vincitori: qui un gioco installativo-performativo che esprime il paradosso capitalista e che lascia emergere la sterile dualità che si pronuncia tra rischio-probabilità, tra successo-fallimento.
Tra le mostre che lasciano un segno in città è indiscutibilmente quella di Janet Cardiff & George Bures Miller al Museum Tinguely intitolata Dream Machines. Il percorso si snoda tra tredici ambienti che ospitano opere stravolgenti, macchine e installazioni spaziali di una rara genialità, spesso estremamente complesse nella realizzazione eppure fruibili attraverso una corsia preferenziale di immediata lettura. Come delinea sin dall’inizio la pratica di Cardiff & Miller, la creazione delle loro opere è guidata da una profonda fascinazione per le pratiche culturali immaginative come la scrittura, il cinema, la musica e il teatro. Tutta la mostra è attraversata infatti da intrecci semantici disegnati con queste discipline, capaci di sollecitare nel fruitore memoria e immaginazione, capaci di lasciar guardare e sentire decisamente oltre.
Opere emblematiche in mostra sono The Instrument of Troumbled Dreams (2018) – un pianoforte a disposizione del pubblico i cui tasti sono programmati per suonare rumori ed effetti sonori legati a memorie collettive e individuali – e Opera for a small room (2005) – una stanza in stile wunderkammer che genera una narrazione onirica attraverso l’attivazione automatizzata di suoni, vinili e luci. Infine, il nuovo progetto che si apre nei giorni della fiera è Basel Social Club, fondato da un collettivo di artisti, galleristi e curatori per creare uno spazio sociale e di scambio per l’arte. Molte le opere esposte, ricco il programma di performance e attività. Per questa edizione l’appuntamento è in una fabbrica di maionese in cerca di nuove funzioni!
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