18 ottobre 2024

Art Basel Paris 2024 invade la città

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Non solo gli stand della super fiera del Grand Palais. Ecco l'itinerario di arte pubblica di Art Basel, tra le opere di Yayoi Kusama, Carsten Höller e Niki de Saint Phalle

Parvis de l’Institut de France, Niki de Saint Phalle. Courtesy of Art Basel

Quest’anno il Programma pubblico dell’Art Basel Paris 2024 (offerto dalle gallerie) è presentato in undici spazi diversi, grazie anche, in alcuni casi, alla collaborazione della Ville de Paris. L’anno prossimo il giardino delle Tuileries, temporaneamente in fase di riallestimento dopo le Olimpiadi, ospiterà di nuovo il fuori le mura. Leggendo l’elenco delle opere della manifestazione parigina prima di vederle, c’era il sospetto che la scelta curatoriale fosse maggiormente improntata alla monumentalità, vista la notorietà della maggior parte delle personalità invitate ad investire gli spazi esterni di alcuni prestigiosi palazzi storici. Contrastando così con la scelta dei luoghi di Parcours 2024 della Fiera di Basilea, talvolta volutamente disardoni, che faceva emergere la capacità propositiva degli artisti e acuiva la curiosità dei fruitori. Nel visitare le installazioni parigine, questo timore è risultato infondato: confrontata ai vari contesti storici, ogni opera si inserisce senza enfasi, ridimensionando talvolta la propria cifra.

Aeolian di Takis (1924-1919) occupa, slanciato, parte del cortile dell’Hôtel de la Marine prospiciente la Place de la Concorde. Come da titolo, riprende lo schema delle eoliche. Mosse insieme dal vento e da un meccanismo che riorienta il movimento, le pale sono sostituite da forme tonde bicolori, giallo e nero. Riunite formerebbero un mappamondo. Evocano il giorno e la notte del mondo?

Cour de l’Hôtel de la Marine, Takis. Courtesy of Art Basel

All’Hôtel de Sully, sede della Soprintendenza ai Monumenti, sono presentate una serie di sculture di Lynn Chadwick (1914-2003) dall’apparenza ibrida figurativo-astratta che contrasta con le linee seicentesche dell’edificio, ma non con la patina dai diversi toni di grigio della pietra. Lungosenna, davanti all’Istituto di Francia, sede della Bibliothèque Mazarine, L’Arbre-Serpents(1988) di Niki de Saint-Phalle esibisce 12 teste colorate di serpenti che spuntano da un albero formato da specchi spezzati, disposti a mosaico. Trasforma un incubo risorto dall’infanzia in una scultura dal forte impatto. La prima versione è stata realizzata in Italia nel 1982.

Hôtel de Sully, Lynn Chadwick. Courtesy of Art Basel
Parvis de l’Institut de France, Niki de Saint Phalle. Courtesy of Art Basel

Nei giardini del Palais Royal, sono installate le opere di sei artisti: i Totem di Matta (1911-2002), il Pollice dorato di César (1921-1998), le forme minimaliste volutamente arrugginite di Amilcar De Castro (1920-2002). Su un prato, quasi di nascosto spuntano le pietre in granito disposte in triangolo di Richard Long, dal titolo significativo, Gold Rush (2006). Sono state raccolte dall’artista britannico in una mina abbandonata della California. Si incontrano due opere che nella loro diversità umanizzano la qualità solitamento austera e fredda del bronzo. L’omaggio al poeta e musicista Louis Thomas Hardin detto Moondog (1916-1999) di Thomas Schutte con una testa di cane dalla fattura empatica. Sui tre Paravent Girls disposti lungo il colonnato settecentesco dell’edificio Ghada Amer ha disegnato in rilievo i visi femminili, correntemente rappresentati nell’iconografia pornografica, che contrastano con l’uso abitualmente aulico del supporto in bronzo.

Domaine national du Palais-Royal, Roberto Sebastian Matta. Courtesy of Art Basel

Avenue Winston Churchill, la strada che collega la sede della fiera, il Grand Palais, al Museo del Petit Palais, sono presenti due scultori e un architetto che appartengono alla storia dell’arte del ventesimo secolo. Yayoi Kusama (nata nel 1929) con una sua Pumpkin (zucca) in bronzo; John Chamberlain (1927-2011) con una compressione in alluminio verde sfavillante  che si snoda come una corda nell’asse dell’ingresso del Petit Palais, casualmente in sintonia con la decorazione dell’edificio. È in contrasto con lo stile essenziale della Maison démontable (1944) di Jean Prouvé (1901-1984), concepita come proposta economica e pratica di abitazione destinata agli sfollati dell’est della Francia, nel contesto della seconda guerra mondiale.

art Basel 2024
Avenue Winston Churchill, Yayoi Kusama. Courtesy of Art Basel

All’interno del museo, Jesse Darling occupa un’ampia sala con dei fiori raccolti in vasi e recipienti di ogni sorta e grandezza, racchiusi nelle teche dalla trasparenza appannata. Sul fondo alcune transenne, abitualmente usate per chiudere un passaggio, aprono su un percorso. Dello stesso materiale è la scala posta in un angolo. Appoggiata al muro ma con i piedi allungati sul suolo che restituiscono sottilmente un sentimento assieme di stabilità e di insicurezza.  Suggestiva la scultura di tre metri intitolata Giant Triple Mushroom e innalzata in Place Vendôme da Carsten Höller. Rappresenta un fungo dagli aspetti molteplici che corrispondono ad altrettante specie, due delle quali commestibili e una nota per la sua tossicità.

Place Vendôme, Carsten Höller. Courtesy of Art Basel

Nel Museo Delacroix Ali Cherri presenta due opere che, riferendosi l’una ad un dipinto di Poussin e l’altra ad un quadro di Velasquez, riflettono un parallelo tra la storia subita dalle opere e quella umana, attraverso le ferite riportate sia per via del tempo sia volutamente per mano della violenza degli uomini. Jean-Charles De Quillarcq espone le sue sculture disadorne, frammenti di corpo in netto contrasto con i calchi storici che occupano tutto lo spazio della Cappella dell’Ecole des Beaux-Arts di Parigi.

Chapelle des Petits-Augustins des Beaux-Arts de Paris, Jean-Charles de Quillacq. Courtesy of Art Basel
Musée national Eugène-Delacroix, Ali Cherri. Courtesy of Art Basel

A Palazzo Iéna, sede del Consiglio Economico, Sociale e dell’Ambiente, Miu Miu, che si associa per la prima volta alla manifestazione con un partenariato, presenta un progetto Tales & Tellers concepito, con il concorso di Elvira Dyangani Ose, direttrice del Museo d’Arte contemporanea di Barcelona, da Goshka Macuga. Nota per unire tutte le arti al cinema e alla moda che qui mette in scena, l’artista trasforma l’austerità abituale del luogo, costruito negli anni ’30 da Auguste Perret. Ogni colonna è doppiata da un’impalcatura metallica che sorrege la tecnologia necessaria al coinvolgimento di tutto lo spazio. Qua e là le performance giocate tutte al femminile mimano pratiche e accadimenti quotidiani, che si ritrovano nei cortometraggi proiettati sugli schermi laterali e nell’auditorio. Perfino i vari supporti cartacei utili alla comprensione sono integrati nella scenografia dell’opera totale.

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