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Art Drive-In Generali: la mostra nel garage sotterraneo. Intervista a Massimo Minini
Arte contemporanea
di Silvia Conta
“ART DRIVE-IN, GENERALI: Percorso sotterraneo d’arte contemporanea”, presentata oggi alla stampa e aperta al pubblico dal 21 giugno, è la prima mostra allestita a Brescia nel grande spazio del garage dell’Agenzia Generali, a Brescia, in via Pusterla 45. Il progetto espositivo, ideato e curato dall’Associazione BELLEARTI con il sostegno dell’Agenzia Generali Brescia Castello, coinvolge 18 artisti: Ludovica Anversa (1996, Milano), Stefano Arienti (1961, Asola), Olivo Barbieri (1954, Carpi), Thomas Braida (1982, Gorizia), Linda Carrara (1984, Bergamo), Ambra Castagnetti (1993, Genova), Enrico T. De Paris (1960, Zottier di Mel), Giovanni Gastel (1955, Milano), Osamu Kobayashi (1984, Columbia, South Carolina, USA), Michele Lombardelli (1969, Piacenza), Davide Mancini Zanchi (1986, Urbino), Antonio Marras (1961, Alghero), Muna Mussie (1978, Keren, Eritrea), Ozmo (1975, Pontedera), Mimmo Paladino (1948, Paduli), Gabriele Picco (1974, Brescia), Antonio Riello (1958, Marostica), Leonardo Anker Vandal (1988, Copenhagen).
Il progetto espositivo
«BELLEARTI coglie i limiti imposti dall’attuale emergenza sanitaria e, attraverso un progetto letteralmente underground, li trasforma in una insolita forma di esposizione dinamica e innovativa. ART DRIVE-IN, GENERALI è un percorso tra progetti artistici, installazioni, murales, disegni di grandi dimensioni a cui si può accedere esclusivamente in auto. Le opere sono installate sui muri, sulle colonne di uno spazio che é di per sé fuori dagli standard riservati alle esposizioni d’arte», ha spiegato l’organizzazione.
«Non è stato assegnato un tema specifico agli artisti, ognuno di loro è libero di proporre la propria visione al pubblico che, percorrendo il garage in auto, può scegliere da quale racconto immaginifico farsi suggestionare in questa sorta di temporanea multisala underground», si legge nel comunicato stampa.
«BELLEARTI sente il progetto come un’occasione di passaggio tra un mondo dell’arte che era e uno che verrà, e come un esempio fattivo. L’arte ha in sé gli anticorpi e la creatività è la più grande forma di libertà: ancora una volta l’arte sa (di)mostrare come i limiti imposti da una crisi possono essere uno stimolo se si è dotati di visione. Dote che non manca agli artisti. La mostra non ha una conclusione, ma un divenire con cambiamenti e aggiunte di opere di nuovi artisti», ha proseguito il comunicato stampa.
L’intervista a Massimo Minini
Perché in questo momento storico è particolarmente significativo un progetto come Art Drive-In Generali?
«Perché ci siamo tutti buttati nella rete come pesciolini con il rischio di essere fritti [Massimo Minini lo dice con l’ironia che lo contraddistingue, ndr]: non potendo fare inaugurazioni e mostre in galleria tutti hanno aperto piattaforme, siti, fiere, tutto virtuale, ma “poco virtuoso”.
È come studiare storia dell’arte con I maestri del colore (1963-67, Fabbri Editore, ndr): ogni tanto bisogna andare in una chiesa o in un museo a vedere le opere reali, osservare il dipinto, la scultura etc. dal vero.
In questo periodo di grandi limitazioni di accessi e misure di protezione mi sono chiesto come poter vedere le opere senza mascherina e tutto il resto. Noi BELLEARTI abbiamo pensato ai vecchi cinema dell’America anni Cinquanta, i drive-in, e passare dai film all’opera d’arte è stata questione di poco: se si possono vedere i film in macchina si possono vedere anche le opere. Certo, sono necessari lavori adatti: non miniature, ma opere realizzate appositamente, grandi, che si vedono bene da lontano».
Come è nata l’idea?
«Di passaggio nel nuovissimo garage della compagnia di assicurazioni con cui lavoro, Assicurazioni Generali, abbiamo visto le belle pareti bianche: centinaia di metri quadri di muri, cosa che ormai non capita più di avere a disposizione.
Abbiamo subito associato i vecchi drive-in a “Contemporanea”, una mostra di arte contemporanea che Achille Bonito Oliva organizzò nel febbraio 1974 nel garage di Villa Borghese non ancora inaugurato.
Nessuno aveva idea di che cosa sarebbe saltato fuori in questo garage di Brescia, è una piccola idea che è stata valorizzata dagli eventi: viste le condizione attuali di fruizione dell’arte è diventata più bella e significativa di quanto pensassi».
Art Drive-In è un progetto realizzato con la giovanissima associazione BELLEARTI…
«Non ho voluto farlo come gallerista, ma ho coinvolto l’associazione BELLEARTI, nata da pochissimo: questa è la sua prima impresa pubblica di un certo rilievo. In questo progetto espositivo non conta la singola opera, ma il fatto di fare una mostra con quel titolo e con quella modalità di visita, che sono anche divertenti. Siamo dei situazionisti in ritardo [ride, ndr].
A esporre sono artisti che hanno deciso di farlo gratuitamente, li ringraziamo tutti, hanno scelto opere grandissime: ci sono quella di Mimmo Paladino lunga sette metri, quella di Antonio Riello di dodici metri, quella di Enrico T. De Paris di undici metri, quella di Stefano Arienti di due metri per due dipinta a mano sul muro e molte altre. Ci sono grandi fotografie, grandi dipinti, grandi buchi nel muro, dei cappi: 17 opere di 18 artisti, tra cui Antonio Marras, che è stato qui per tre giorni a fare la sua opera. La mostra ha appassionato molto gli artisti, speriamo anche gli spettatori».
Con quale intento è stata fondata l’Associazione BELLEARTI?
«Brescia non è una città particolarmente dedita all’arte contemporanea, a parte alcune punte rappresentate da situazioni di collezionismo, come Feroldi negli anni ‘40, Cavellini nei ‘50, Spada nei ‘70, Clerici, Bettolini, Grazioli ultimamente. Le collezioni sono andate disperse perché Brescia non ha saputo predisporre un luogo per trattenerle.
Oggi ci sono delle gallerie a Brescia che operano in questo settore, anche se è più difficile di una volta. Abbiamo fondato BELLEARTI con quattro galleristi, critici, collezionisti, amateur, appassionati generici, con lo scopo di occuparci di arte contemporanea a Brescia».
Come sono stati scelti gli artisti?
«Dal comitato di BELLEARTI, poi ogni gallerista ha chiamato i propri artisti. C’è come un clima di post-guerra, c’è più solidarietà: l’aspetto che è cambiato maggiormente è stato l’emergere di questa solidarietà tra “naufraghi”. Pensare che tutti fanno delle piattaforme richiama alla mente La zattera della Medusa di Théodore Géricalut, su cui i poveri naufraghi agitano gli stracci per farsi vedere e nessuno li nota, noi siamo come nel mare in tempesta, vediamo se ce la caviamo».
A proposito di questo, quali aspetti del sistema dell’arte italiana ha fatto emergere la situazione portata dal Covid-19?
«Come galleristi siamo ancora tutti spaventati, perché non abbiamo potuto fare mostre e fiere: le gallerie sono strutture che hanno delle spese e dei dipendenti, se non si vende non è possibile inventare storie alternative. Tutti ora dicono che bisogna fare qualcos’altro, che non sarà più come prima, però tutti sperano di tornare ai livelli precedenti rispetto all’emergenza, perché le gallerie hanno sono strutturate per scopi precisi, quindi è difficile fare qualcosa di diverso che vada al ribasso, pena licenziamenti, azione che tante grandi gallerie americane hanno già compiuto fin dall’inizio dell’emergenza.
Come Galleria Massimo Minini stiamo cercando di capire come si possa sopravvivere con meno entrate: quali spese, mostre, trasporti tagliare per salvaguardare i posti di lavoro.
Il problema generale è che è in atto una contrazione enorme delle vendite e le strutture non possono continuare così: i musei senza spettatori, i musei senza clienti, etc».
Ci può dire un elemento che il sistema deve tenere presente nel ripartire?
«Ricordiamoci una cosa: l’arte esisteva prima che esistessero le gallerie e continuerà a esistere anche dopo che le gallerie saranno tutte fallite. Spesso l’arte oggi è una questione solo di mercato, noi dobbiamo abbassare la sua influenza e tornare ai contenuti.
L’arte si faceva nella preistoria, la facevano i Sumeri, i Greci, i Romani e via via nel corso dei secoli, sempre con modalità e scopi vari, in questo secolo l’arte è diventato un fatto molto personale dell’artista e il mercato si è impadronito di questa individualità, aiutando gli artisti da un lato e condizionandoli dall’altro.
La pandemia ci ha fatto riflettere sul fatto che l’arte fosse diventata solo, o principalmente, una questione di mercato. Quando si guarda un quadro attaccato al muro non si parla più del contenuto, ma dell’ultimo record d’asta dell’autore: quando il mercato diventa supermercato ammazza il contenuto dell’opera e prevale su ogni altra considerazione. L’aura del vincitore affascina sempre, da Mussolini a Berlusconi, da Jeff Koons a Gagosian, nessuno parla dei perdenti e delle vittime, delle gallerie che hanno chiuso, degli artisti che erano bravissimi e sono dimenticati. Le legge di mercato non ammette eccezioni e esclude i deboli, salvo poi piangerli dopo morti e magari approfittarne: ci sono tante opere invendute e si possono mettere in pista a cifre strepitose. Quindi direi: meno quote al “supermercato”, più ai contenuti».
ART DRIVE-IN GENERALI
Percorso sotterraneo d’arte contemporanea
A cura di BELLEARTI (info@ba25100.org)
Garage dell’Agenzia Generali Brescia Castello
Via Pusterla 45, Brescia
Orari: dal lunedí alla domenica, alle ore 19 alle 22 e su appuntamento (contatto: info@ba25100.org)
Ingresso libero
Una voce fuori dal coro. Leggo sui giornali una gran strombazzata per l’iniziativa del mercante d’arte Massimo Minini con una “mostra” nel garage delle Assicurazioni Generali a Brescia, e ovviamente nessuna “seconda” domanda allo stesso presidente dell’Associazione Belle Arti che ne cura l’allestimento. Allora la faccio io. Innanzitutto Minini afferma che è “una insolita forma di esposizione dinamica e innovativa” e già qui bisognerebbe ricordargli che negli anni dell’arte moderna di cose del genere in Italia e all’estero ne sono state fatte a iosa in un di tutto e di più che non sto qui a elencare (una la cita lo stesso comunicato: quella di Achille Bonito Oliva nel 1974 nel garage di Villa Borghese a Roma). Quindi nessuna novità, o meglio, una “novità” già vecchia in sé e trita e ritrita anche per le opere che presenta in un concettuale che ammorba l’attuale arte contemporanea dedita al mercato e alla provocazione. E brutte e inutili.
Poi il riferimento ai “drive in” senza ribattere che il paragone c’entra come un cavolo a merenda. Sì perché – sempre il nostro mercante d’arte – accosta un luogo all’aperto con un garage sotterraneo e quindi al chiuso. Una rigenerazione dell’arte? No, un ritorno al nascondimento come nella prima era cristiana nelle catacombe, visto che cita antiche civiltà. Dichiara: “Noi ‘Bellearti’ abbiamo pensato ai vecchi cinema dell’America anni Cinquanta, i drive-in, e passare dai film all’opera d’arte è stata questione di poco: se si possono vedere i film in macchina si possono vedere anche le opere”. Questione di poco? Questione di tanto, direi. Tutt’altra cosa. A dire anche che in un drive-in oltre ad essere all’aperto le auto sono ferme e dunque con motore spento e non in giro in un sotterraneo tra gas di scarico e il rischio di trovarsi in un luna park come per un autoscontro. Oppure come, scrive Costanzo Gatta, entrare in un “magico garage … con opere affascinanti”; ecco, ci mancava il castello incantato. E sempre Gatta richiama proprio una sorta di luogo di divertimento (anche Minini parla di “divertente”, ma chiedo: l’arte deve divertire?), allorquando elenca alcuni manufatti e artefatti esposti tra piloni e muri: un vaporoso angolo multicolore (“interessante!”, scrive) nato con lo spruzzino dei ragazzi, un omino-mostriciattolo che pare un alieno che esce da una capsula ma … sono caramelle. Certo ai luna park in genere vanno i bambini. Poi mucche, buchi nel muro e cappi, e altri giochetti vari, in una pseudo arte sorretta dalla parola come per la pittura di Paladino: “strisce rosse a significare ordine e rigore”. Ma! Di strisce rosse ne vediamo in tutti i garage e non sono opere d’arte. Sono strisce rosse e tali restano, senza dilungarmi in una esegesi artistica di cui potrete leggere nei miei libri.
Il mercante d’arte Minini cita “La zattera della Medusa” (1819) di Théodore Géricalut, su cui poveri naufraghi (si sente così come gallerista in questa pandemia) agitano gli stracci per farsi vedere e nessuno li nota … ecco, nessuno li nota e “stracci”, questa potrebbe essere la sintesi critica di questa mostra titolata “Contemporanea”, cui darei un sottotitolo: “Un’arte alla deriva”.
Ma a muovermi, però, non è tanto questo ma l’ipotesi che lancia l’Associazione Belle Arti di una collettiva in Castello nelle sale del Grande Miglio dedicata al corpo e “molto erotica” (anche in questo nulla di nuovo ma il peggio non ha mai fine). Perché spero che la Fondazione Brescia Musei cui è stata proposta (e di cui Minini è stato presidente in conflitto d’interesse) si ricordi che la spesa occorrente per l’organizzazione verrebbe fatta con danaro pubblico e credo che di questi tempi di crisi non sia proprio il caso o, se proprio, utilizzare lo spazio per i tanti artisti (locali e non) che all’arte guardano con l’dea di fare vera arte. Senza “stelle” internazionali nel contrario dell’assenza dell’arte. Fermo restando che il “Grande Miglio” è stato dichiarato inagibile e quindi inutilizzabile come sale espositive.