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Nel tempo e fuori: l’arte molteplice di Anna Valeria Borsari al Museo del Novecento di Milano
Arte contemporanea
di redazione
Ancora pochi giorni per scoprire – o riscoprire – la lunga e molteplice ricerca artistica di Anna Valeria Borsari, in mostra fino al 13 febbraio 2022 al Museo del Novecento di Milano. “Da qualche punto incerto” è il titolo dell’esposizione, a cura di Giorgio Zanchetti e Iolanda Ratti con Giulia Kimberly Colombo, scandita da una serie di lavori realizzati dagli anni ’60 a oggi, tra scultura, fotografia e installazione, espressione di una complessa indagine sull’identità, sempre sul limite tra realtà e rappresentazione. La retrospettiva mette in evidenza, in particolare, la natura anticipatrice di alcune sue sperimentazioni, incentrate in particolare sul rapporto site specific tra opera e spazio e divenute poi terreno comune nelle pratiche successive.
Anna Valeria Borsari, dalla filologia alla scomparsa dell’opera
Nata nel 1943 a Bazzano, piccolo Comune in provincia di Bologna dove i genitori si erano rifugiati per scampare ai bombardamenti sulla città, Anna Valeria Borsari attualmente vive e lavora a Milano. Precocemente portata per la pittura e il disegno, la famiglia la indirizzò versi studi di carattere umanistico: prima il liceo classico Galvani, quindi la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna, dove ebbe modo di conoscere il filosofo Luciano Anceschi, frequentando anche il gruppo dei suoi allievi, in particolare Alessandro Serra, Diego Bertocchi e Renato Barilli.
Ma l’episodio che avrebbe cambiato il corso della sua vita accadde nel 1970, a 27 anni, quando, dopo aver assunto l’incarico di docente di Filologia Romanza all’Università di Bologna, rischiò di morire per un’embolia. Uscita dal coma, decise di sposarsi, di avere un figlio e di iniziare a svolgere apertamente quella attività artistica che sempre l’aveva attratta. In quel periodo, Borsari già stava portando avanti una sua ricerca in ambito linguistico e visivo, sui temi del riferimento e dell’identità e sulla relatività delle nostre percezioni.
Nel 1975, a Roma, la prima personale, nel 1976 una mostra tratta da un suo articolo di linguistica, “Del riferimento e dell’identità”. Nel 1977, allo Studio G7 di Bologna una esposizione di nuove opere indicative dell’evoluzione che avrebbe caratterizzato tutto il suo lavoro, tra cui Il volo delle 15 e 10, Labirinto, Attraversarsi (che dava il titolo all’intera mostra), Narciso, La Stanza di Narciso. A queste mostre seguiva l’esecuzione in alcune piazze italiane (Piazza Maggiore a Bologna, nel 1977; piazza della Signoria a Firenze, nel 1978; piazza Duomo a Milano, nel 1979) di madonne di monete e cereali, che venivano “fagocitate” da piccioni e passanti, fino a sparire, mettendo in evidenza i nessi di casualità ma anche di consequenzialità che legano le persone, gli spazi e le cose.
Influenzata dagli studi della fisica quantistica, Borsari approfondiva il processo di smaterializzazione dell’opera, in controcorrente rispetto al “ritorno all’ordine” della materialità che caratterizzava parte dell’arte degli anni ’80. Oltre alla ricerca artistica, Borsari ha sempre continuato a lavorare sulla linguistica e sulla filologia e nel 1983 pubblicò “Lancillotto liberato”, libro in cui proponeva una nuova possibilità di lettura dell’opera di Chétien De Troyes.
Nel 1996 una prima e parziale retrospettiva nelle sale Museali di Siena e una serie di progetti in luoghi insoliti, come “Suonare Borsari”, 1996-97, in un appartamento che era stato il suo studio a Milano, con presentazione di Roberto Daolio, e “Confusione”, matrimonio-opera con Dino Pes in un albergo di Venezia. Nel 1997, dopo drammatici fatti che hanno coinvolto una persona a lei molto cara, Anna Valeria Borsari ha fondato l’associazione di volontariato “Percorso vita”, che per un decennio ha operato a sostegno dei sofferenti psichici, anche con iniziative culturali come “Manifestazione”, progetto patrocinato da Bologna 2000, per il quale durante tutto l’anno, a cadenza mensile, come in una sorta di calendario, furono affissi per la città grandi manifesti con immagini fornite da diversi artisti e con testi contro l’emarginazione dei malati psichici.
La mostra al Museo del Novecento di Milano
La mostra al Museo del Novecento di Milano tiene conto di questi – e altri – passaggi e incroci del suo percorso biografico e intellettuale, tra filosofia, filologia e scienza, entrando in rapporto diretto con l’osservatore e con l’ambiente che circonda l’opera, per offrire una panoramica a tutto tondo dei concetti e dei metodi di Anna Valeria Borsari.
Partendo dagli anni Settanta, nella prima sala è evidenziato il passaggio dalle serie fotografiche – con cui l’artista sancisce l’impossibilità di definire la realtà attraverso le immagini – a un campo più ampio di strumenti, come pittura, installazioni e interventi site-specific. I punti nevralgici del percorso di Anna Valeria Borsari sono ulteriormente declinati nella Sala degli Archivi attraverso alcuni nuclei tematici fondamentali: la memoria, la trasformazione, la relazione e il luogo. Qui sono poste in dialogo due installazioni per restituire un ritratto più recente dell’artista e della sua posizione nei confronti del pubblico e della società. Lotteria è la ricostruzione di un’istallazione del 2000, una sorta di autobiografia composta di oggetti e ricordi personali, che nella versione originale veniva dispersa tramite una pesca a premi; un’indagine sulla posizione dell’artista si trova in Da remoto, il nuovo lavoro concepito per questa mostra. L’esposizione è completata da materiali quali inviti, fotografie e pubblicazioni.
«Sono sempre stata molto attenta a tutto quello che succedeva attorno a me. Non sono l’eremita che ha fatto i suoi lavori nella celletta di qualche monastero o in un’isola felice e ha prodotto opere sulla base di una sua fantasia», ha raccontato l’artista in occasione di una conversazione con Iolanda Ratti e Giulia Kimberly Colombo. «Ho continuato sempre a rapportarmi a quello che stava avvenendo, a quanto si stava producendo, da un punto di vista sociale e politico, ed anche in ambito filosofico e scientifico. Sì, ho portato avanti una ricerca personale, ma forse più che di ricerca si può parlare di una quête interiore, e l’arte è stata uno strumento, una modalità per poter procedere».