Nella Pelanda del Mattatoio di Roma, va in scena l’ultimo appuntamento di Riverberi, rassegna incentrata sul potere e sull’egemonia, sulle ingiustizie sociali, culturali, razziali, sulla supremazia bianca e sulla colonizzazione. Promuoendo modelli di resistenza femminile, la programmazione a cura di Johanne Affricot ed Eric Otieno Sumba, sostenuta da Spazio Griot – uno spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisciplinare -, è iniziata con Whiteface di Candice Breitz, a seguire A Plot, a Scandal di Ligia Lewis, per finire con Path to the Stars di Mònica de Miranda, visibile fino al 28 luglio 2024.
Il titolo della manifestazione – Riverberi – racchiude un insieme di significati anche in contrasto tra loro. Nel vocabolo, infatti, vi è la bellezza del riverbero come prolungamento di un qualcosa, come il suono, nell’essenza di ciò che ritorna, di energie positive astratte che convergono per dare forza. Ma anche supponendo un effetto negativo di ritorno, con una ripercussione, come un gesto violento di espressione fisica.
Questa duplice lettura è il fil rouge seguito anche da Mònica de Miranda in Path to the Stars, un metaforico sentiero delle stelle per illuminare e rendere merito a protagoniste che hanno contribuito a cambiare la storia con impegno, dedizione e determinazione. Sono donne africane, sognatrici dal senso pratico, combattenti coraggiose che ispirano e simboleggiano le nuove generazioni di un continente che guarda il futuro con una missione sociale.
La video installazione di Mònica de Miranda, nei suoi 34 minuti, rivisita in chiave poetica, tra il documentario e il sogno, l’eredità della resistenza anticoloniale in Angola, invitando l’osservatore a compiere un viaggio dall’alba al tramonto, attraverso una placida navigazione di un fiume, dove la protagonista incontrerà le tre generazioni, sue ombre, incarnanti la resistenza messa in atto da donne.
Il fiume Kwanza, dove si svolge il tutto, è uno dei più lunghi dell’Angola, sfociante nell’Oceano Atlantico. La moneta angolana prende il nome da questo importante corso d’acqua, simbolo di indipendenza ma anche teatro di atrocità, invasioni e rinascite. L’opera video sottolinea la connessione “dell’ambiente natura” come fonte di vita e di morte, corpo e terra come portatori di memoria e di storia con una inscindibile unione tra umano e ambiente. Il fiume custodisce il lamento del popolo e ne lava il sangue e le lacrime versate.
Attenta osservatrice delle dinamiche politiche, fondatrice di Hangar, centro d’arte di ricerca di Lisbona e artista rappresentante il Padiglione Portogallo alla 60ma Biennale d’Arte di Venezia, Mònica de Miranda è conosciuta a livello internazionale e propone un completo lavoro di regia, fotografia, suono e testi, sul sottile confine tra il documentario e la finzione.
In Path to the Stars, si concentra sul parallelismo tra due figure che portano lo stesso nome, Carlota, rendendo loro omaggio e visibilità. La prima è un’eroina morta combattendo per il Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola – MPLA la seconda, Carlota Lucumi, era una donna soldato a capo della rivolta nello zuccherificio di Triunvirato a Cuba.
Il governo di Cuba fu alleato del MPLA sostenendo l’Angola nel respingimento dell’avanzata delle Forze di Difesa Sudafricana e il nome in codice di questa operazione fu “Carlota”. Il conflitto si protrasse per anni decimando la popolazione inerme e il fiume rimase silente spettatore e testimone della storia.
Il video Path to the Stars in lingua portoghese con i sottotitoli in inglese, utilizza come traccia narrante le poesie di Antonio Agostinho Neto rivoluzionario e primo presidente eletto democraticamente, anche il titolo è ispirato a una sua poesia.
Una voce narrane declama: «Il mio cammino è caos, il mio grande amore disordine» e in questo disordine il fiume scorre mentre una piccola imbarcazione con la protagonista si sdoppia nella sua essenza, diventando Lei giovane e Lei vecchia.
Di grande impatto emotivo, la scena in cui la protagonista vestita di bianco mangia accanto a una donna vestita di nero, suo avatar invecchiato. Stessi ritmici ed eleganti gesti per un pasto che sembra carne di un cuore, metafora di un assaporare l’essenza della vita e nutrirsi delle testimonianze di realtà. Vesti bianche anche per tre giovani donne che simboleggiano la dualità del luogo e dell’appartenenza al loro spazio, guardando alla connessione dell’identità e del corpo con l’Africa e la sua diaspora
Molte sono le suggestioni personali che l’artista lascia liberamente interpretare, veicolando però l’emozione all’esaltazione dell’importanza delle donne, esortandone la rivendicazione dei diritti negati per secoli e la tenace resistenza anticoloniale, restituendo un racconto poetico, immersivo di una resistenza nera guidata da donne il cui corpo racconta la storia.
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