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L’arte contemporanea di recuperare i vecchi valori: due giorni da viaraffineria, a Catania
Arte contemporanea
Lo spazio di viaraffineria, a Catania, ha aperto le porte per accogliere, fra i suoi vicoli creati dai soppalchi industriali, “Stendalì – suonano ancora | Una sagra contemporanea“, a cura di Ilaria Leonetti e Rosita Ronzini. Due giorni apparentemente insoliti per giovani curatrici e giovani artisti, all’insegna della musica e dell’arte, di conversazioni e riflessioni sul folklore e sulle tradizioni contemporanee. Richiamando l’omonimo titolo del documentario realizzato da Cecilia Mangini nel 1960, l’evento – in cui le arti performative assumono un ruolo cardine – si muove in direzione dell’analisi del dramma e delle ritualità come chiave per indagare le eterogeneità culturali. Abbiamo intervistato le curatrici per scoprire il particolare interesse per queste tematiche e la loro opinione sulle pratiche curatoriali di oggi.
Chi siete?
Rosita Ronzini «Siamo due giovani curatrici e lavoratrici dell’arte. Siamo nate e cresciute in geografie diverse, ma entrambe ci siamo formate presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in studi diversi. Nonostante i percorsi e le amicizie in comune, ci siamo conosciute soltanto durante CAMPO – Corso di studi e pratiche curatoriali della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel 2021, dove ognuna ha approfondito le proprie ricerche personali e nell’anno del corso ci siamo ritrovate per alcuni argomenti e tematiche di interesse. Con l’invito di Giulia e Maria Vittoria di viaraffineria abbiamo pensato di mettere insieme le nostre ricerche e di creare un progetto».
Cosa significa per voi “essere curatrici” e quale dovrebbe essere la mission della curatrice di oggi?
Ilaria Leonetti «La nostra personale visione è che essere curatrici ad oggi significhi fare tantissima ricerca ed essere in grado di connettersi con il proprio presente, sia a livello politico e sociale, sia per quanto riguarda il recepire e rimanere aggiornate su quelle che sono le nuove istanze dell’arte contemporanea. Inoltre è fondamentale affiancare l’artista fin dal primo momento, supportando la sua ricerca con confronti e consigli costruttivi. Infine, lo scopo primario per una curatrice è rendere accessibile il mondo dell’arte contemporanea ai non addetti ai lavori, ad esempio decidendo di collaborare con realtà del territorio non per forza appartenenti al mondo delle arti visive, come nel nostro caso, la collaborazione fra lo spazio di viarrafineria e il festival musicale Opera che quest’anno si terrà dal 23 al 27 agosto a Milo (Catania)».
Quali sono gli elementi che vi fanno credere in un artista e come vi approcciate inizialmente al suo lavoro?
RR «Entrare in contatto con un artista significa conoscere il suo lavoro e la sua ricerca, elementi che avvicinano e guidano un interesse a livello curatoriale. Il primo approccio parte da un sentimento di istinto e curiosità che è alimentato da un aspetto fondamentale: quello emotivo – empatico. Entrare in sintonia con l’artista significa creare un dialogo, uno scambio che spinge e supporta una comprensione del lavoro per conoscere tutti gli aspetti della sua ricerca e pratica artistica».
Che ruolo ha l’arte contemporanea e che esigenze individuate nelle arti visive del nostro tempo?
RR «L’arte contemporanea è in grado di creare connessioni con ambiti molto diversi attraverso un approccio interdisciplinare e oggi riveste un ruolo sociale che sta sempre più prendendo piede nella vita quotidiana e si sta leggendo come uno strumento dinamico capace di parlare più linguaggi. Pensiamo che l’esigenza più urgente sia quella di arrivare a un pubblico sempre più ampio, cercando continue contaminazioni e scambi per un’arte del nostro tempo sempre meno autoreferenziale e aperta a tutte e tutti».
Siete le curatrici di “Stendalì – Suonano ancora | Una sagra contemporanea” in viaraffineria a Catania, luogo complesso che tende a diventare protagonista. Come vi siete rapportate a questo spazio e quali sono state le difficoltà?
RR «Lavorare in uno spazio come quello di viaraffineria è stato un processo interessante che abbiamo condiviso con gli artisti e le artiste di Stendalì. Ogni artista ha fatto una proposta installativa del proprio lavoro e poi dopo i sopralluoghi e soprattutto attraversando insieme lo spazio abbiamo deciso la struttura e il percorso esperienziale del progetto. Abbiamo lavorato cercando di entrare in dialogo con le caratteristiche dello spazio senza andare a sopraffare la sua identità e storia che ci interessava far emergere».
Parliamo del vostro progetto, come mai l’idea di non realizzare esclusivamente una mostra, ma di interagire con talk e musica? Scelta di gusto, di esigenza o di collaborazione?
RR «Occuparsi di arte contemporanea come giovani curatrici e operatrici culturali significa creare progetti che mettano in campo strumenti e modalità molto diversi e che coinvolgono più ambiti artistici. Fin da subito ci siamo ritrovate nell’esigenza di non fare una mostra e di provare a creare un evento legato a una temporalità e geografia ben precisa. Il motivo che ci ha spinto verso questa scelta è stato mosso dall’idea di pensare un progetto che si muovesse in maniera dinamica creando dei rapporti orizzontali e collaborativi tra artisti/e e curatrici, instaurando un rapporto tra musica, editoria, arti performative e visive. La nostra idea è stata di fare un evento che riprendesse all’idea di sagra ma riletta in chiave contemporanea. Proprio per questo è stata fondamentale la collaborazione con il Festival Opera che ha curato i dj set serali e con Panopticon zine, progetto editoriale indipendente curato da Mattia Maisto e che si occuperà della pubblicazione relativa all’evento e che durante la giornata del 29 aprile ha organizzato ALLA ROMANA #5, un pranzo all’interno degli spazi di viaraffineria e aperto a tutte le persone che volessero avere modo di conoscere le persone coinvolte nel progetto».
Come mai questo interesse verso il folklore e le ritualità, in curatrici e artisti così giovani?
IL «Pensiamo che l’interesse verso il folklore e le ritualità siano una conseguenza del fatto che sia noi curatrici che gli/le artisti/e siamo cresciute in contesti nei quali gli usi e costumi della tradizione geografica dalla quale proveniamo siano ancora presenti. L’interesse si è fatto sempre più forte crescendo e migrando dal proprio luogo di origine. Parlando fra di noi ci siamo rese conto di essere fortemente affascinate dall’antropologia e la demologia in quanto ci accomuna l’idea di non perdere il contatto con un mondo che si può definire magico. Il folklore è sempre stato parte dell’espressione umana».
Secondo voi perché siamo tanto intrisi di un mondo passato e che, al tempo stesso, non ci appartiene del tutto?
IL «Crediamo che sia un processo inevitabile quello del ritorno di esperienze passate, tutto torna anche se con modalità ed espressioni aggiornate al tempo presente. È importante che il passato non venga mai cancellato ma che sia in continuo dialogo con il presente. In particolare nell’epoca contemporanea sta avvenendo una riscoperta e la valorizzazione di tradizioni e usanze del passato, basta vedere il ritorno dell’astrologia e della magia che sembravano ormai superate».
Quali valori bisognerebbe cogliere dal passato per seminare un nuovo presente?
IL «Crediamo sia importante continuare a guardare costantemente a ciò che è stato. Riprendendo quelli che sono i valori che abbiamo voluto includere nel nostro progetto, per noi è fondamentale ricordarsi dell’importanza del creare comunità che siano in grado di sostenersi a vicenda. In particolare nel mondo dell’arte, in cui vi è un individualismo e agonismo imperante, ce n’è più bisogno che mai. L’idea di proporre un progetto che si leghi al concetto di sagra nasce proprio con questo scopo».