Nelle ultime tre settimane sono stati pubblicati alcuni interventi sullo stato della critica d’arte italiana. Tutto è partito da un articolo di Gian Maria Tosatti intitolato Come siamo silenziosi sullo stato dell’arte e pubblicato su il Sole24Ore del 3 settembre scorso. Tosatti cerca di scuotere il sistema dell’arte italiana segnalando una carenza della critica d’arte, la mancanza di una storicizzazione dell’arte italiana contemporanea e – provando a leggere tra le righe – un’insufficiente competitività a livello internazionale. Altri autori tra cui Christian Caliandro e Santa Nastro hanno risposto con altrettante interessanti argomentazioni cercando, dal canto loro, di dimostrare invece la presenza di una critica d’arte italiana fervente e attiva.
In questo batti e ribatti nessuno accenna a una questione, a nostro avviso, fondamentale nell’attuale contesto storico: ovvero che l’importanza della critica – e degli artisti – è fondata in parte su questioni estetiche e storico-critiche, ma in gran parte su quanto essa possa incidere a livello internazionale. Tale incisività si misura attraverso le ricadute e la capillarità che tali idee, e tali critici, possono avere nell’assetto internazionale di musei, fondazioni, gallerie e manifestazioni che sostengono artisti, mostre, progetti e pubblicazioni a livello culturale, economico e politico.
Pertanto, seppur fondamentale, non basta un dibattito locale sul ruolo dell’arte e dell’estetica contemporanea e non basta l’autorevolezza intellettuale di testi e pubblicazioni, ma è necessario che tali ricerche siano capaci di esistere e incidere a livello globale. Christian Caliandro, ad esempio, cita critici ed esperti autorevoli a livello locale italiano, senza però tenere conto della loro scarsa considerazione a livello internazionale, lo stesso vale purtroppo se guardiamo agli artisti italiani.
Tosatti lamenta, giustamente, la mancanza di una storia dell’arte italiana a partire dagli anni 2000, ma in realtà dovrebbe lamentarne una mancanza a partire dalla metà degli anni ‘60, ovvero da quando l’Italia ha sommessamente tirato i remi in barca, sottostando alle politiche culturali ed economiche di altre nazioni più forti.
In questo interessante dibattito, l’attenzione è rivolta però ad un problema, che seppure esistente, ha un peso minore rispetto a una questione di fondo a nostro avviso più urgente: l’arte non può essere considerata fuori dalle trasformazioni geopolitiche e dagli equilibri economici mondiali.
A livello internazionale l’Italia, da oltre cinquant’anni, è considerata una nazione di serie B – se non di serie C – e la propria arte, di conseguenza, risente di tale declassamento. La quasi totalità degli artisti italiani contemporanei è completamente sconosciuta a livello internazionale. Questo vale non solo per l’arte cosiddetta contemporanea, ma si estende a tutta l’arte italiana del secolo scorso.
Se un quadro di Giacomo Balla (e citiamo Balla per la sua autorevolezza storica e perché dovrebbe essere storicizzato e valorizzato anche da musei e mercato) vale ancora oggi quanto un multiplo su carta di Jeff Koons, non è perché manca una vera critica in Italia ma perché nell’attuale configurazione mondiale la nostra penisola non ha un peso politico, culturale ed economico. Purtroppo la presunta autorevolezza di critici e artisti italiani non ha avuto, sino ad oggi, il potere e la forza per ribaltare lo stato delle cose.
Cerchiamo quindi di non ridurre in maniera semplicistica questa importante riflessione – aperta sulle pagine del Sole24Ore e migrata anche su altre testate – e cerchiamo di fare uno sforzo per capire insieme qual è la strada da intraprendere per cambiare le sorti dell’arte italiana. L’arte – quella vera – in tutte le epoche storiche, ha stimolato una forma di competizione tra idee, modi di vedere il mondo ed economie.
Proprio sul concetto di competizione dovremmo interrogarci e posare lo sguardo su qualcosa che in apparenza non è strettamente legato all’arte, ma che in questo caso può aiutarci a immaginare come agire, ovvero lo sport. In tutti gli sport, per posizionarsi bene in classifica, o addirittura vincere una competizione, bisogna avere una chiara strategia, dei giocatori definibili campioni, preparatori atletici che siano dei professionisti, strutture sportive adeguate e infine saper fare gioco di squadra. Se fai gioco di squadra è statisticamente più probabile vincere, questo ce lo insegnano tutti gli sport.
E allora servirebbe individuare e valorizzare chiare teorie estetiche per competere in campo internazionale, grandi artisti, critici e curatori capaci di interloquire con le più importanti istituzioni mondiali, gallerie, fondazioni e musei con fondi adeguati per concorrere nel mercato contemporaneo. Tutto ciò attraverso un organizzato gioco di squadra per rendere l’arte italiana competitiva nel mondo.
Dovremmo iniziare a studiare e segnalare tutte le linee di ricerca contemporanee in Italia – mettendo da parte quella spiacevole pratica di citare solo gli amici – difenderle e rivolgersi in maniera più incisiva al mondo politico ed economico. Dovremmo far emergere e difendere le eccellenze dell’arte italiana, non solo all’interno dei nostri confini nazionali, ma anche e soprattutto a livello strategico nel dibattito culturale, politico ed economico internazionale.
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