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Arte pubblica, il passe-partout di Milot apre piazza Mercato di Napoli
Arte contemporanea
Manca poco. La città sembra ormai in procinto di “svegliarsi”. È come un gigante che si sta destando ed è pronto a rialzarsi, a riprendere vita. Lo si avverte attraversando le viuzze che ci portano a Piazza Mercato, allo stesso tempo porta e baricentro della città di Napoli, che lentamente inizia a vestirsi di festoni, di colori, di una certa elettricità che sta per investire ogni cosa. Una parte di questa energia sembra già condensarsi qui, in questa bellissima e ariosissima piazza ricolma di persone, autorità, studenti e curiosi, in occasione dell’inaugurazione di “Key of Today”, installazione pubblica dell’artista Alfred Mirashi Milot, albanese di origine ma adottato da Cervinara, piccolo centro dell’avellinese, durante la caduta delle dittature socialiste e la diaspora dei popoli dell’Est degli anni ‘90. Tra questi, quello albanese, fierissimo e coraggiosissimo.
Divenuto falegname nel piccolo centro e perfezionata la propria attitudine creativa all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, l’artista aveva già esposto giovanissimo nel 2003 al Maschio Angioino con un lavoro intitolato “Le Veneri di Milot”. Grandi uova dedicate ad alcune importanti figure della storia: Dante Alighieri, Giordano Bruno, Diego Armando Maradona. E proprio in questa città, pronta a rivivere quella stessa festa per lo scudetto di 30 anni fa, vibra quella matrice popolare, genuina e appassionata, quel centro propulsore di un sentimento che diventa messaggio universale.
È lo scrittore Maurizio De Giovanni, che ha curato il progetto in collaborazione con l’Associazione Mille Volti, con la direzione esecutiva di Michael Kaiser della Jean-Wolfe Company e la direzione artistica di Michele Stanzione e l’ingegnere Michele Palumbo, a spendere le prime parole per raccontare la grande installazione, circondata da centinaia di ragazzi delle scuole del territorio e da decine di curiosi.
«Una chiave bellissima, portata dall’altra parte del mare dentro i nostri cuori». Il concetto è molto semplice. Se si apre una porta e si piega la chiave, la porta non potrà più essere richiusa. Significa che questa città «Si apre e rimane aperta per sempre».
Costruita in sei mesi dall’azienda Metal Kostruksion Vata in Albania, l’opera, di un ferroso rosso bruno, più delle orgogliose sculture socialiste del secolo scorso (o delle grandi navi come la Vlora, che trasportarono migliaia di albanesi al di qual dell’Adriatico) assomiglia alle mura dei castelli albanesi del nord, come sottolinea l’Ambasciatore Albanese di Roma, Anita Bitri Lan.
«È una fabbrica di sogni», aggiunge la diplomatica, emozionata in questa grande spazio con molti suoi compatrioti. Il suo sogno, Milot, ha potuto coronarlo qui. «La sua primissima libertà l’ha trovata qui in Italia», nel piccolo paese di Cervinara a cui anni fa, grazie all’ associazione Proloco, Milot donò la sua prima opera raffigurante la simbolica chiave attorcigliata.
La memoria delle crisi economiche e dell’assenza di diritti dei regimi del socialismo reale ancora morde nei ricordi degli albanesi, cose che noi, da sempre cresciuti nella libertà e nel benessere, abbiamo dimenticato in pochissimo tempo. Come da tramandare è stata l’accoglienza della città di Napoli, prima antica locazione della comunità albanese, che tra le vie napoletane crebbe e prosperò durante il XV secolo. E cosi, con questo lavoro poderoso di Milot, Napoli «Apre di nuovo la piazza agli albanesi, che tornano ad essere attori nella politica europea e nel Mediterraneo», prosegue l’Ambasciatore, in un discorso appassionato, consapevole dell’importanza dei simboli da proteggere e dei valori da tramandare.
L’opera, costruita dalle mani di un migrante ed esposta in questa piazza e in questa città «Cosmopolita, capace di elaborare una cultura collettiva che parte dalle proprie radici antiche ma che è in grado di accogliere tutti i popoli», come ha aggiunto il sindaco Gaetano Manfredi, può così diventare un simbolo contro i muri e le fortezze, fisiche e ideologiche, che molti vogliono innalzare per contenere e allontanare chi giunge da lontano, spesso afflitto da storie di dolore e sopraffazione ma anche provvisto di energie e speranze.
Il sindaco di Napoli è stato infatti l’unico a rispondere al progetto dell’artista, che ha reso possibile la sua “pazzia”. Sei mesi di lavoro per costruire l’opera, una settimana per montarla ma due anni per ottenere tutte le autorizzazioni. E lo ha fatto anche pensando a questa incredibile piazza da rigenerare perché da sempre termometro della città: abbandonata o valorizzata a seconda dei momenti e delle epoche, come è successo tante volte per la stessa Napoli.
La mattinata si chiude con i canti e i balli della ‘Ndrezzata di Cervinara, un gruppo folkloristico avellinese, fortemente voluto dall’artista, a ricordare le sue “origini”, quella materia amniotica da cui sono sgorgati i suoi piccoli e grandi sogni. «Molta bella l’installazione. Certo sarebbe ancora più bello se il sindaco attivasse quei lampioni nuovi che non si sono mai accesi». È uno dei baristi di piazza Mercato a parlare, mentre termina la cerimonia. Con educazione e un po’ di ironia. La festa si avvicina. Manca poco e, come si diceva poc’anzi, ci sono piccoli e grandi sogni. Di tutti.