Sappiamo che la serata di presentazione di questo progetto alla città di Roma avrà luogo il 1 ottobre a Palazzo Taverna. Sappiamo anche che ci saranno sei serate, a partire dal 19 ottobre e con una cadenza bisettimanale, che ogni serata offrirà un’”esperienza”, e che i numi tutelari di queste serate saranno, per ora, tre artisti – Namsal Siedlecki, Silvia Giambrone e Gian Maria Tosatti – e tre istituzioni romane – la Quadriennale, (con gli artisti Caterina De Nicola, Diego Gualandris e Raffaella Naldi Rossano, il 2 novembre) il Mattatoio e il Macro (con i direttori Moya Garcia e Lo Pinto)– scelti dagli ideatori Ludovico Pratesi, nella veste di direttore artistico del progetto, e Marco Bassan, curatore dello spazio.
E sappiamo pure la storia di Palazzo Taverna Aldobrandini, dove intorno al salotto della mecenate Graziella Lonardi Buontempo nacquero intorno al 1970 gli Incontri Internazionali d’Arte, vera e propria fucina intellettuale di una Roma in stato di grazia, che vide passare un po’ tutta l’intellighenzia critica e creativa della capitale, da ABO a Calvesi ad Argan, da De Dominicis a Fabro a Cucchi, compresa un’incursione di un alieno come Andy Warhol.
Quello che non sappiamo è da dove e perché nasce questo progetto, come funzionerà, perché il numero due e il futuro giocano un ruolo importante nella sua struttura.
Bassan e Pratesi si conoscono proprio durante il lockdown facendo lezioni sull’arte e il futuro, sul canale twitch di EIIS – European Institute for Innovation and Sustainability, istituto di eccellenza nel campo della tecnologia, innovazione, sostenibilità, che ha appunto la sede in Palazzo Taverna.
Proprio ripensando al clima culturale degli Incontri Internazionali e di quegli eventi-serata, e a quell’aspetto esperienziale nel modo di produrre e fruire l’arte, nasce l’idea di, spiega Bassan, «progettare uno spazio che si configuri come un metodo, che non sia uno spazio espositivo ma è uno spazio che propone un nuovo modo di guardare il mondo, e concepire la complessità di questo tempo, perché quando si crea un tandem di energie tra due persone emerge sempre una terza cosa, e da qui l’idea del duale come metodo che fa scaturire un qualcosa di imprevedibile, che è l’esperienza dello spazio». Insomma « un nuovo modo di immaginare e vedere il mondo, il nostro desiderio è ricreare un ambiente in cui sia possibile respirare di nuovo un’aria che possa aiutarci a comprendere la complessità di questo momento, perché questo è il tempo della complessità, e l’arte è lo strumento principe per farlo».
Ma come si svolgeranno praticamente queste serate?
« Ogni persona che invitiamo deve invitare un’altra persona: l’artista o curatore chiamato è obbligato a contattare una seconda persona, o più, non necessariamente appartenente al mondo dell’arte, per progettare insieme lo spazio. Per esempio alcuni artisti che ci hanno già sottoposto il loro progetto hanno coinvolto scienziati, antropologi, filosofi. E questo proprio per uscire dalla logica del curatore che è abituato a pensare lo spazio come un contenitore, dell’artista che è abituato a mettere il quadro, mentre è lo spazio stesso che si trasforma in un’opera d’arte. Quindi questo progetto vuole essere una metodologia e non uno spazio espositivo».
Una dualità frattale…
«Estraneo al mondo dell’arte, EIIS è il nostro duale in questo caso, e questa dualità in qualche modo è frattale, siamo io e Ludovico, poi c’è Spazio Taverna e questo Istituto di ricerca, e poi chiediamo anche agli artisti di giocare sul duale, senza contare il logo scelto, ripreso dall’orso dello stemma della famiglia Orsini, da cui venne costruito il palazzo, ma ispirato ai due orsi di pietra all’entrata del palazzo. Coincidenze che hanno segnato delle traccie, come piccoli sassolini sulla strada».
Finirà tutto con questi sei incontri?
«L’idea di Spazio Taverna è che oggi sono queste serate quindicinali, ma piano piano questo metodo, questo spazio, questo laboratorio comincerà a comprendere un’altra serie di attività, non necessariamente il lunedì e non necessariamente in linea con queste esperienze, ma mettendo a terra questa filosofia, questa idea, facendo incontrare e confrontare i vari mondi, e raccontando al pubblico questo sguardo. Di fatto gli artisti hanno un modo diverso di guardare e interpretare la complessità del mondo. Siamo abituati a una società che tende all’unidimensionalità, mentre gli artisti riescono sempre a intersecare più piani, e questo sguardo è quello che ci interessa, che sperimenteremo nelle serate, ed è quello che racconteremo nei vari corsi, workshop e incontri che faremo da qui fino a gennaio e oltre. Raccontare un’educazione visiva».
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