Come si vive a Milano? Cosa scandisce gli spazi abitativi delle nostre città? Un tavolo, due divani, un letto, una stanza intima, un’incubatrice, uno schermo e un giardino domestico configurano, dal 21 settembre al 27 ottobre, uno spazio vivo e da vivere nella stazione del passante ferroviario di Milano Lancetti. Babylon, curato da spazioSERRA e con la partecipazione di Roberto Casti, Marco Cesari, Lucrezia Costa, Francesco Fossati, Joykix, Lorenzo Lunghi, Rebecca Mari, Matteo Urbani, Danilo Vuolo / Compostpunk e Vincenzo Zancana, configura un’isola utopica, uno spazio di interconnessioni dove il dentro si apre verso il fuori, dove individualità puntuali si intrecciano nell’occupare il medesimo spazio, dove un luogo di transito diviene altro, molto e molto altro. Una ribelle Babilonia che muta, ricca di anfratti e strutture, attraversata da “mostri” plastici e polimorfi, plasmata da alterità e compresenze.
Ecco allora che mi sono ritrovato davanti a una casa di vetro, con lunghe finestre a nastro che non lasciano nulla in segreto. Una figura mostruosa si aggirava dentro e fuori l’abitacolo, con Cambio di Forma, Rebecca Mari performa un essere animato dai colori tropicali e dalle fattezze fluide. Dietro una finestra si mostra Lucrezia Costa con Atémnein, una struttura dall’aspetto antico, liquido, senza angoli e senza spigoli, una porzione di un sogno, un frammento di una città utopica. Accanto, quasi in una lotta di opposti, una piccola stanza nera, chiusa, intima, che custodisce e protegge degli organismi, delle minuscole alghe bioluminescenti dentro un’incubatrice. L’opera di Marco Cesari, Stressed Inversion, sottolinea la presenza disturbante dello spettatore, che attiva e rende manifesto l’essenza delle micro alghe.
A Gentle Intrusion, di Matteo Urbani, è una installazione audio-visiva che porta in luce il punto di vista di un ecosistema complesso sottoposto a disturbi ed interferenze esterne, un soliloquio dell’ambiente naturale che cambia. Quasi nascoste, come se fossero degli organismi viventi, timidi o che vivono nell’ombra, sono: Microframe, di Lorenzo Lunghi, una serie di sculture parassite che vivono nell’impianto elettrico dell’ambiente, e Iblea Mortuus, di Vincenzo Zancana, una serie di piccoli moduli in plexiglass che portano in mostra un’importante riflessione, quella sul rapporto tra le specie viventi e in particolare sull’estinzione della Dracena draco.
Concludono le opere di Francesco Fossati, Substrato 05, e Joykix, Memorie del sottosuolo. Fossati porta una visione post-umana, una natura, dei blocchi di substrato avvolti dal micelio. Essi divengono luogo di nascita per alcuni funghi e mostrano dei processi di riappropriazione da parte della natura degli spazi sottratti. Memoria del sottosuolo invece porta con sé un’altra lettura, quasi del medesimo tema. Una natura che si riappropria degli spazi interstiziali, anfratti nascosti in cui piante spontanee possono proliferare senza vedere la luce del sole.
Babylon è molte cose, uno spazio, una casa, un giardino, una struttura del passato e un covo alieno. È un evento dedicato, che omaggia la contaminazione reciproca a occupare spazi per divenire altro, per creare altro. L’evento, inoltre, non si esaurisce con queste opere, non si completa in una volta sola. Nel corso delle settimane in cui rimarrà aperta, la mostra porterà con sé una serie di eventi satellite, talk, performance, seminari e molto altro.
«Questa nuova Babilonia non chiede di rimanere, e sfugge da qualsiasi fissità. Vuole essere attraversata, in ogni momento, anche fuori da qui. Conoscenza selvatica di ciò che è Altro, oppure l’incontro infinito con le cose, che si manterrà vivo anche dopo oggi», Deborah Maggiolo e Piermario De Angelis.
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