30 novembre 2021

Balley, Cibic, Rebet e Abramovic-Ulay: le storie filmate, al MAC di Lione

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Per il suo autunno il MAC di Lione punta tutto sulle immagini in movimento. Con Delphine Balley, Jasmina Cibic e Christine Rebet, insieme a una selezione di video di Marina Abramović e Ulay

Marina Abramović e Ulay, AAA AAA, 1978-1999, Collection macLYON © Courtesy of the Marina Abramovic Archives / A dagp, Paris, 2021

Il Museo d’Arte Contemporanea di Lione presenta tre diverse monografie dedicate alle storie filmate: “Figures de cire” di Delphine Balley, “Stagecraft” di Jasmina Cibic e “Escapologie” di Christine Rebet, nonché una selezione di video di Marina Abramović e Ulay. Videoperformance, fotoperformance e installazioni per un focus sulle storie filmate tra messa in scena del potere, dei modelli e rituali sociali. Il percorso, che si estende lungo l’edificio di seimila metri quadrati e diversi piani, comincia con “Escapologie” di Rebet. Classe 1971, l’artista francese predilige i disegni a inchiostro che assembla fotogramma per fotogramma, secondo tecniche tradizionali, per realizzare quello che lei chiama “il cinema di carta”. Le sue creazioni restituiscono, con un tocco di pura fantasia, realtà politiche e crisi ecologiche, traumi personali e collettivi, come la schiavitù o l’esilio. Le animazioni principiano con macchie di colore su fondo bianco che prendono la forma ora di un oggetto ora del suo opposto. La metamorfosi è in atto. Ogni forma disegnata porta in sé il germe di quella successiva, come in un dialogo sul divenire delle cose del mondo. La linea del disegno, che si stende con naturalezza sul supporto, rimanda alla manualità e sfida al contempo i dettami di una bellezza artificiosa e statica. Presenti anche dipinti e sei film d’animazione proiettati all’interno di capannoni addobbati in riferimento alle storie raccontate, vedi Breathe in, Breathe out (2019, animazione filmata in HD, sonoro, 7’50), che s’ispira ai recenti viaggi di Christine Rebet con l’artista Rirkrit Tiravanija a Chiang Mai, nel nord della Thailandia. Qui si può visionare l’animazione, stando comodamente seduti su dei tatami, e rincorrere i passi e i pensieri di un monaco che prendono la forma di animali, di vegetali o di architetture, e così via. Il filmato, che narra di un viaggio spirituale, guarda al testo Metamorfosi (2020) del filosofo Emanuele Coccia.

Christine Rebet, Brand Band News, 2005, vista della mostra Time Levitation, Parasol Unit foundation for contemporary art, Londra, 2020. Three-channel animation shot on 35mm transferred to HD, sound, Duration: 3’21’’. Courtesy l’artista, ph. Benjamin Westoby

Segue un’immersione nell’universo della fotografa e videomaker, Delphine Balley (1974, Romans-sur-Isère), che presenta l’installazione Figures de cire, composta da tre film quali Le Pays d’en haut, Charivari e Le Temps de l’oiseau (inedito), e da una serie di stampe fotografiche e sculture, per lo più progettate per la mostra. Si tratta di un ritratto di famiglia in cui il ruolo della donna è centrale. Qui vengono filmate le riunioni più consuete come il matrimonio e il funerale, dove il cerimoniale è espresso da gestualità pianificate su un ritmo dato.

Delphine Balley, Figures de cire al macLYON. Le Pays d’en haut, 2013. (Vidéo, 16’20”), ph: Blaise Adilon

Quale messaggio si cela dietro un regalo? Inconscio o espresso, baratto o contratto, la nozione di dono ma in ambito diplomatico è il tema dell’ultimo lavoro di Jasmina Cibic (1979, Ljubljana) ossia Stagecraft, una messa in scena del potere che include il cortometraggio, The Gift. Il progetto parte da ricerche che l’artista ha realizzato tra il 2019 e il 2021 negli archivi di musei d’arte e di storia, sviluppando la nozione di soft power, su cui si basava già la sua mostra per il padiglione sloveno alla Biennale d’arte di Venezia nel 2013. Stagecraft principia con un’installazione immersiva che s’ispira al Mandarino meraviglioso, una pantomima in un atto di Béla Bartók, dove la figura della prostituta è l’allegoria delle arti sfruttate dalla politica. Il rapporto tra cultura e politica è il perno intorno al quale si sviluppa The Gift, il bellissimo film di 20 minuti proiettato su tre schermi che chiude l’installazione. Palliativo di una nazione divisa, “il dono” diventa la cura che il potere offre al popolo per superare le crisi identitarie. La storia vede tre uomini – arte, musica e architettura – partecipare in presenza delle quattro libertà fondamentali -interpretate da donne – a una competizione che cerca un regalo, esteticamente e politicamente eccezionale, per una nazione in crisi. Il film è girato in luoghi emblematici come il Palazzo delle Nazioni a Ginevra (composto da doni della comunità internazionale), il Museo del 25 maggio a Belgrado (dono della nazione a Tito), ed è marcato da un finale sorprendente che fa un parallelo tra l’estetica ancora seducente della sede del Partito Comunista a Parigi costruito da Oscar Niemeyer (dono dell’architetto al PCF) e il monumento di Buzludža, vecchia sede del governo comunista bulgaro, oggi abbandonata e caduta in rovina.

Jasmina Cibic, The Gift, 2021 [extrait] Installation vidéo 4K, couleur sur 3 écrans, son stéréo, Courtesy de l’artiste
L’ultimo piano del museo accoglie “La collection: performances 1976-1988”, una retrospettiva del duo Marina Abramović (Belgrado, 1946) e Ulay (Solingen, 1943 – Lubiana, 2020). Si tratta di una selezione di video della collezione del museo, che possiede tutto il lavoro congiunto dei due artisti, tra cui The Lovers: The Great Wall Walk (1988, video a due canali, 16 m 45 s.). Si tratta del progetto che ha segnato la fine della loro collaborazione artistica dopo dodici anni di vita comune. Marina e Ulay intraprendono e filmano separatamente, ciascuno al lato opposto della grande muraglia cinese, un percorso di novanta giorni, per ritrovarsi al centro di questa per un ultimo abbraccio. Lo spazio centrale accoglie oggetti e foto della performance Nightsea Crossing (1981-1986), che vede i due artisti seduti, faccia a faccia, intorno a un tavolo spoglio, immobili e muti, vestiti con abiti monocolore, come un tableau vivant. L’attività professionale di questa coppia di performer s’intreccia con quella del museo lionese. Perché? Marina Abramović e Uwe Laysiepen, noto come Ulay, presentarono a Lione lo step conclusivo di Nightsea Crossing (1981-1986), riprodotta per ventidue volte in diciannove città del mondo per novanta giorni consecutivi. Mentre nel 1999, quando i due artisti decidono di archiviare il materiale e tutte le registrazioni di questa performance, il macLyon e il Van Abbemuseum di Eindhoven decidono di coprodurre e acquistare il progetto. La mostra presenta anche video come Imponderabilia (1977), realizzata presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, Relation in Time (1977) presso lo Studio G7 di Bologna, Breathing in/Breathing out (1977), Light/Dark (1977) o AAA-AAA (1978). Ognuno di questi lavori – oltre a sfidare le norme e le regole sociali – testa i limiti fisici e psichici nel sopportare la staticità, il dolore, il digiuno, lo sforzo o la semplice nudità, per un controllo totale su se stessi, senza separazione tra mente e corpo. Qui viene vietato ogni movimento o gesto automatico come coprirsi o stirarsi, ciò che provoca nello spettatore reazioni ambivalenti come disagio, malessere, o il desiderio di mettersi alla prova. Aperta fino al 2 gennaio, la proposta invernale del macLyon celebra la creatività di tre artiste talentuose, le cui opere saranno probabilmente in parte acquistate per entrare nella collezione museale.

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