A opere montate e stand allestito, il lavoro dell’artista finisce e inizia quello del gallerista. La Miami art week può iniziare e per godersi a pieno l’esperienza bisogna abbracciare tutto quello che la città offre con un po’ di ironia, senso dell’umorismo e curiosità, tenendo presente che l’esperienza a Miami è molto diversa da quella delle cugine fiere europee. Il clima subtropicale e il ritmo vacanziero investono subito chiunque atterri all’aeroporto in centro città. Le fiere e gli eventi sono numerosissimi, impensabile riuscire a vedere e conoscere tutto. È necessario accettare il compromesso che i ritmi di Miami, seppure serrati, richiedono: lasciarsi trasportare dalla folla e dall’onda.
Trascorrere le giornate nelle fiere principali da passeggiatori è un’esperienza da sfruttare per molti aspetti. Quando i galleristi non si lasciano scoraggiare dal badge con la scritta “artista”, è davvero piacevole chiacchierare e approfondire il lavoro di altri artisti e altre realtà espositive. È un modo per esplorare quello che succede attorno a noi e al tempo stesso tessere nuove relazioni. Osservare poi il popolo della fiera è un processo quasi catartico. A Miami soprattutto, rispetto ad altre fiere cui ho preso parte, si percepisce l’urgenza di comprare, il bisogno di trovarsi al centro del mondo ed esserne protagonisti attivi. La necessità di esibirsi, di “esserci”, è impellente e si manifesta a partire dagli outfit a dir poco sopra le righe e nel classico ‘struscio’ da copertina.
Ma dimenticando l’ossessione per la stravaganza, qui a Miami ci sono collezionisti di livello grandissimo. E la sera poi si trasferiscono negli esclusivi eventi privati o nelle feste a loro dedicate. Sono conoscitori e intenditori raffinati, responsabili delle acquisizioni dei grandi musei, direttori di case d’asta, appassionati investitori che da sempre seguono il mondo dell’arte. Il loro è un procedere lento e silenzioso tra gli stand, si avvicinano ai galleristi quando la loro attenzione è davvero rapita ed è meraviglioso osservarli riflettere e scegliere quale pezzo aggiungere alla loro collezione.
Mai però a Miami succede quello che è più frequente nelle fiere italiane o europee: qui non si parla con l’artista. È come se l’opera fosse già in una dimensione pubblica a sé stante, tutto quello che c’è da sapere sul lavoro o sull’artista lo si può e lo si preferisce leggere in cataloghi patinati o nelle spiegazioni tramite QR code degli stand. Libera di girovagare per altre fiere, conoscere altri artisti e fare tante domande, mi lascio trasportare dall’energia di Miami. La parte più bella è indagare, investigare sui lavori che più mi intrigano negli altri stand, scovare tecniche inusuali, spiare allestimenti particolari. E ovviamente fare public relations. Ma quando la luce degli stand finalmente si spegne, la città ti ingoia. Centinaia le feste sulla spiaggia o nei club degli hotel più esclusivi. Frequenti le cene rituali di gruppo al Porto Sagua, il ristorante cubano ritrovo per tutti nel post-fiera. Miami si addormenta tardi e alle 11 inizia l’ora dei cocktail.
Divertirsi è d’obbligo, ma io che non sono un grande animale sociale arrivo, sguscio tra le persone quasi sempre non vista e dopo poco esco di nuovo. Nel frattempo, ho potuto osservare gli amanti dei party. Il trend non è poi così vario e la scelta si divide tra un fisico da bodybuilder o un corpo abbondantemente innaffiato dalla chirurgia estetica. È magnifico immergersi nell’atmosfera da riviera quando si approda in questi piccoli mondi alieni. Qui l’eccesso è la norma e la competizione una questione di stile. Da una festa all’altra emerge il vero problema di Miami: il trasporto. Una città priva di sistema di trasporto sotterraneo e che dipende esclusivamente dalle quattro ruote fallisce la prova della mobilità. Autobus in tilt, navette gratuite bloccate, Lamborghini e Ferrari ingorgate per ore insieme agli Uber sui pochi ponti che collegano la città a Miami Beach. Dato che le fiere si trovano dislocate su tutto il tessuto cittadino, in certe fasi del giorno soffrono di questa congestione diffusa. Rinunciare a vedere qualcosa è una scelta d’obbligo e sugli autobus le rimostranze di coloro in ritardo per il turno di lavoro sono sufficienti a far nascondere timidamente il badge espositore.
L’offerta museale non è da meno rispetto a quella fieristica, e in questi giorni ogni museo e fondazione è aperto con orari flessibili e ingressi omaggio per espositori e detentori di biglietto fiera. Questa è un’ottima scelta corale, che permette anche agli artisti di vedere le mostre più belle e interessanti a prezzi accessibili, se non gratuitamente. La sensazione è che il popolo dell’arte sia ovunque: le stanze dell’ICA, del Perez o del Rubell Museum, straripano di visitatori curiosi ed è bello ritrovare per caso volti familiari tra le sale espositive. Se poi si riesce a non pensare alle case anguste e umide, a dimenticare quanto costosa sia la città, ad eludere il kitsch di Ocean Drive e a mettere i piedi sulla sabbia, la vista lascia senza parole. L’oceano su cui si affacciano Untitled e Scope è una distesa verde azzurra profumata e solitaria. Pochi frequentano davvero la riva. La movida è alle nostre spalle. Il vento di questi giorni muove le palme e spazza i rumori della Miami più “cheesy”. Se ci voltiamo a guardarla dal mare al tramonto, le luci al neon fucsia e il cielo verde notte, ci si dimentica di essere stati protagonisti di un quadro kitsch e Miami appare davvero bella.
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