Un white cube allestito con opere quasi interamente bianche che inizialmente fa pensare a Le Vide, ma avvicinandoci alle immacolate carte possiamo scorgere aliti impalpabili di colore. Sembrano disegni, forse acquerelli, pitture iperminimaliste, però l’artista ci parla di fotografia… com’è possibile? Dopo cinque anni a New York, Beatrice Pediconi si trova bloccata a Roma nella primavera del 2020. Il lockdown diventa per lei occasione di approfondire la ricerca sull’uso della tecnica dell’emulsion lift e su una riflessione intorno al medium fotografico. Fino a che punto si può decostruire una stampa prima che questa si disintegri? Fin dove arriva la capacità della pellicola di conservazione della memoria prima che questa venga dimenticata, prima che il suo soggetto acquisti significato nuovo per noi o dopo di noi? Ritrovando vecchie polaroid scartate, le era nata un’idea di manipolazione della pellicola in forme inesplorate, di spinta ai limiti delle possibilità materiali e concettuali del mezzo. Questo sentire diventa atto in Pediconi nel fare a pezzi le proprie stampe e immergere le striscioline ricavate in acqua, fino a che lo strato di colore non si alza dal supporto, per poi catturarlo con un pennello. A questo punto, l’emulsione fotografica si fa impalpabile come seta e fuori dall’acqua non potrà sopravvivere se non la si trasferisce subito in una seconda vasca, dove si imprimerà spontaneamente nelle fibre di un foglio vuoto.
Nasce così la serie di lavori Untitled, di cui abbiamo qui esposta una buona selezione. La mostra si apre con un diario di 43 fogli di piccole dimensioni, che scandiscono i giorni della quarantena vissuta dall’artista a Roma. La seconda sala ci introduce ai pezzi di grande formato, presentandoci anche un trio di brevi notebook in formato LP, dove i segni impressi assumono il fascino di un alfabeto segreto. Infine, il percorso si chiude con le carte scorniciate e imponenti che ci permettono di apprezzare tutto il gioco di velature e sfumature che il colore della stampa ha assunto nella sua nuova vita, come se fosse uno strato di pelle. Senza volersi definire fotografa – Pediconi si muove da sempre tra diversi linguaggi – l’artista s’interroga in questa mostra sullo statuto della fotografia e lo fa a 360 gradi, a partire dalle sue origini fino a ciò che ne resta dopo aver attraversato un processo complesso e in un certo senso snaturante. Nude parla di fragilità , di strappo e di perdita, ma anche della possibilità trasformativa di creare dai ricordi nuovi intimi linguaggi, tracce fresche che nascono dal gesto umano ma che saranno altrettanto fluide e imprevedibili nel loro modo di depositarsi. Come scrive Cecilia Canziani, “anche quando sembra resistere a comunicare e a restituire l’impressione della realtà , la fotografia esiste comunque come oggetto. Scompare l’immagine, o scompare la memoria dell’immagine, ma la fotografia rimane come corpo materiale. É ciò che resta”.
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertĂ . La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Visualizza commenti
LO STECCO UTILIZZATO PER RUMARE IL COLORE è già PITTURA ! Pacini. ( L'applauso dei tuoi contemporanei non è segno della tua consacrazione definitiva,ma piuttosto della tua utilità del momento . Il complimento è così gradevole che non ha bisogno di dissimulare la sua ipocrisia per sedurre ) dal libro "Contro la morale dello schiavo" Josè Manuel Infiesta ,direttore del MEAM ,museo Europeo di Arte Moderna di Barcellona se avesse partecipato un Van Gogh a questo concorso con qualcosa di veramente nuovo non sarebbe giammai stato riconosciuto .