In dialogo con la natura, l’uomo e il territorio, eccovi 10 installazioni site-specific completate nel corso di questo 2019, con progetti che inducono a riconsiderare la portata di ogni operazione artistica.
Garfa è il padiglione esperienziale ideato da Edoardo Tresoldi per “Diriyah Oasis”, un progetto in collaborazione con i designer Alberonero e Matteo Foschi e con il musicista Max Magaldi. La grande scultura attraversabile rievoca le rovine locali, in un’architettura effimera fatta di sughero e rete metallica che raggiunge la sua parte più alta a 26 metri.
9 metri di altezza e 10 di diametro per il progetto vincitore della competizione annuale indetta dalla National Gallery of Victoria Architecture Commission. Opera di Yhonnie Scarce ed Edition Office, l’installazione architettonica celebra la storia degli Indigeni. Scuri ed enigmatici esterni racchiudono una torre di legno che include circa 2mila Yam di vetro nero, un simbolo che richiama le abitudini alimentari auctoctone.
L’elementare coreografia dell’opera site-specific di Tomás Saraceno, all’Arsenale di Venezia, è stata parte della 58esima Biennale di Venezia. Oscillando in base al ritmo delle maree, ogni cambiamento è percepito attraverso l’equilibrio di un’installazione che dipende dal livello delle acque. In precario equilibrio rispetto ai pianeti, alle stelle, all’aria, il cambiamento climatico diviene così percepibile con nuvole che scompaiono, mentre i livelli di Co2 aumentano.
Una composizione lunga 14 ore quella che usa gli spettogrammi dei canti degli uccelli per ricrearne il canto giornaliero. Al Parco delle Sculture di Toronto, l’installazione sonora di Lou Sheppard è un monito. Il cambiamento climatico e la conseguente scomparsa di habitat naturali, sta minacciando numerose specie di uccelli. I dati astratti degli spettogrammi sono quanto resta di canti andati persi: un ricordo di cosa abbiamo perso e un invito a preservare quanto ci resta.
FOR FOREST è il progetto temporaneo di Klaus Littmann che ha trasformato il campo da calcio di Wörthersee a Klagenfurt, in Austria. Oltre 300 alberi sono stati collocati al centro di un campo, finendo per diventare attrazione per la fauna. È il più grande intervento d’arte condotto in uno spazio pubblico dell’Austria. L’installazione è una sfida alla nostra percezione della natura, una domanda sul suo stesso futuro nel pianeta.
Un testo notturno proiettato sul Rockefeller Center parla dell’orrore della violenza delle armi. I testi proposti da Jenny Holzer intercettano crude realtà del nostro tempo. Per due notti messaggi come testimonianze di sopravvissuti a sparatorie hanno fatto la veglia come parte di un memoriale che parla attraverso slogan e poesie.
Quella installata a Chongming, Shanghai, è una macchina che non piò essere controllata da una persona media. Rappresentando la satira di un governo volto a promuovere la salute pubblica per favorire la produttività della società, questa macchina non ha alcun manuale di utilizzo. La disillussione della grandezza dell’essere umano è resa attraverso l’impotenza di una macchina dal così alto potenziale, ma ridondante e sproporzionata.
Sono intercettazioni umane quelle rese possibili da Rafael Lozano-Hemmer. La sua installazione collega due terre di confine, il Messico e il Texa. Tra El Paso e Juárez, “ponti di luce” aprono canali di comunicazioni da sei differenti postazioni (3 per ogni lato), ognuna delle quali dotata di un microfono, un altoparlante e una grossa ruota. Quando due fasci di luce si intercettano, si apre la comunicazione tra due versanti.
Non esistono confini che non possano essere resi obsoleti, e a Rafael San Fratello è bastato collocare tre altalene rosa per far giocare insieme bambini che vivono ai due lati opposti della barriera di divisone tra Stati Uniti e Messico. L’installazione rimanda al delicato e precario equilibro che intercorre tra le due nazioni: quanto accade da un lato, ha dirette ripercussioni anche sull’altro.
All’Arsenale di Venezia, in occasione della 58esima Biennale, braccia monumentali innanzavano ponti. Quelli di Lorenzo Quinn sono ponti creati dall’incontro di mani, culture, possibilità. Resi possibili grazie al lavoro di oltre 350 persone, i loro nomi sono quelli di valori universali come speranza, fede, aiuto, amicizia, amore. Le mani di Lorenzo Quinn, nel loro incontro, annullano barriere e sanciscono alleanze. Non tutti i ponti sono fatti di cemento.
Lorenzo Quinn, “Building bridges”, 2019. 58esima Biennale di Venezia
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