È un viaggio a doppio senso, quello di Roberto Coda Zabetta: classe 1975, nasce a Biella dove trascorre la prima parte della sua vita, prima di spostarsi a Roma e Milano, per costruire il suo percorso come artista, inizialmente a fianco di Aldo Mondino, suo maestro. Solo negli ultimi tempi, ha stabilito il suo studio nell’entroterra marchigiano, in uno spazio situato in provincia di Pesaro. <<Da quasi cinque anni ho scelto di vivere in un territorio analogo a dove sono cresciuto; non tanto per la sua morfologia, quanto per la sua fragilità>>, racconta. <<Un microscopico paesino vicino a Urbino; una terra incontrollabile sino a tal punto da cambiare le planimetrie millenarie delle colline e dei paesaggi. Ho vissuto personalmente l’ultimo terremoto e l’ultima alluvione, frane e fango sono divenute un fatto talmente personale da sentire il dovere di raccontarlo attraverso la mia pittura>>. Un atelier che è diventato nido e rifugio, luogo di attività concettuale e pratica. Qui è nata anche la sua ultima serie, Frana e Fango, una serie di dipinti ispirata ai cataclismi che hanno devastato quelle aree dell’Italia centrale, tormentate da frequenti terremoti e alluvioni che in più episodi ne hanno minato il patrimonio storico e paesaggistico, mettendo a rischio anche l’incolumità dei suoi abitanti.
Questa serie pittorica è andata ad abitare gli spazi della Fondazione Oasi Zegna, situata a Trivero Valdilana, sempre in provincia di Biella, la cui storia è strettamente legata a quella del territorio che ha dato i natali all’artista. La mostra si intitola E il giardino creò l’uomo e, accompagnata da un testo curatoriale di Ilaria Bonacossa, è visitabile fino al 12 novembre 2023 nella sede di Casa Zegna. Si tratta di un programma espositivo legato ai valori di restituzione al territorio promulgati per la prima volta dal suo fondatore, e che ora proseguono con un percorso sulla relazione tra natura, arte e scienza. L’ispirazione proviene dall’omonimo libro E il giardino creò l’uomo di Jorn de Précy (1912), filosofo e giardiniere appassionato vissuto tra Otto e Novecento, nella cui opera sostiene che l’uomo, per essere davvero un giardiniere e creare un vero giardino, debba <<ascoltare la natura e il genius loci>>, senza ostacolare le forze che operano in natura, bensì lavorare con esse.
Un equilibro instabile e precario che tuttavia diventa espressione di vitalità inesauribile nelle opere di Roberto Coda Zabetta, il quale realizza un grande dittico monumentale che attraversa lo spazio del museo di impresa biellese, contornato da dipinti di diverse scale e grandezze. <<Molti parlano di astrazione, ma in realtà per me queste rimangono opere figurative, talmente immersive che si ha la sensazione di potersi tuffare al loro interno e trovare ciò che si stava cercando>>, dice, davanti alle esplosioni di colore sparse sulla tela. In questa nuova serie, la sua tecnica pittorica è stata oggetto di una nuova sperimentazione, ottenuta creando concentrati pastosi di colore che sono stati fatti “esplodere” tramite dell’aria compressa. <<Ci metto tanto a concepire un’opera, ma poi l’esecuzione è molto veloce. Il tempo necessario, una volta stesa la pittura, sta nell’attesa che l’opera “risponda”>>. Il risultato è in parte inaspettato e incontrollabile, un “giardino selvatico” ora seducente e sensuale, ora intenso e drammatico. Aggrovigliato su se stesso, resta inestricabile a tutto tranne che alla vista attenta dell’osservatore.
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