L’Australia fu la prima a nominare l’artista che avrebbe dovuto progettare il suo Padiglione per la 59ma Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia (anticipata in realtà solo dalla Nuova Zelanda, con la polinesiana Yuki Kihara): era il novembre del 2019 quando fu annunciato Marco Fusinato, la 58ma edizione non aveva ancora chiuso le porte e tutto sembrava dover andare sempre. Poi sappiamo cosa è successo. E così, con una pandemia ancora in corso, arriviamo al gennaio 2022 e a un’Esposizione d’Arte ancora da realizzare a causa dell’incredibile e, per certi versi, spettacolare effetto domino che ha colpito il calendario delle grandi manifestazioni. Ma, ormai, il tempo è arrivato, manca poco per l’attesissima e sospirata riapertura del 23 aprile prossimo e le carte si scoprono. Oggi torniamo al Padiglione Australia ai Giardini, perché il Council for the Arts – l’ente pubblico che si occupa, tra l’altro, dell’organizzazione della spedizione in Laguna – ha annunciato i primi dettagli del progetto di Marco Fusinato, a cura di Alexie Glass-Kantor.
L’artista nato a Melbourne nel 1965 e dalle evidenti origini italiane, precisamente venete, presenterà un’opera totale, in cui l’acustica e l’immagine, il sonoro e il visivo, troveranno una terza via tra installazione e performance. L’artista e musicista si esibirà in live durante gli orari di apertura della Biennale, per un totale di 200 giorni. Peraltro, il Padiglione australiano non aveva mai ospitato prima progetti performativi dal vivo. «“DESASTRES” rompe il tradizionale format espositivo. Questa non è una mostra statica, ma un’opera in evoluzione», ha spiegato Glass-Kantor. «Saremo in diretta per tutti i 200 giorni della Biennale di Venezia e ogni volta che il pubblico sperimenterà l’opera, sarà unica. L’intensità delle condizioni in cui si è evoluto questo progetto ha permesso all’opera di incarnarsi pienamente come un completo disastro. L’esecuzione dell’opera non riguarda il teatro, ma l’atto di lavoro e la perseveranza».
«Sono interessato alle tensioni attorno alle forze opposte come il rumore contro il silenzio, l’ordine contro il disordine, l’istituzione contro il sottosuolo, purezza contro contaminazione», ha raccontato Fusinato a proposito di DESASTRES, progetto sviluppato a Melbourne durante il lockdown, a testimonianza di tutte le turbolenze associate a quel periodo. «Questi binari coesistono e in DESASTRES è quell’attrito che voglio mantenere, non eliminare. Sento che queste tensioni si sfregano sempre l’una contro l’altra e la cosa interessante è come si affrontano queste agitazioni, le contraddizioni. È quello stato intermedio che voglio occupare», ha continuato l’artista, che in Australia è tra i più influenti e che dalle nostre parti ha esposto già in varie occasioni, tra cui, a Viafarini, a Milano, e all’American Academy, a Roma.
Da sempre affascinato dalle peculiarità espressive del noise e dalla sovrapposizione tra le immagini dei mass media e quella della storia dell’arte, Fusinato si esibirà dal vivo nel padiglione, utilizzando una chitarra elettrica come generatore di segnali che, immessi nel circuito dell’amplificazione, innescheranno un diluvio di immagini. L’esperienza totalizzante sarà aperta all’interpretazione del pubblico. «La mia idea di attivare il pubblico è di ricordare loro che sono vivi. Che hanno il polso. Il mio lavoro inizia sempre con qualcosa che voglio sperimentare», ha proseguito Fusinato, per il quale si tratta di una sorta di ritorno alle orgini.
La sua prima lingua, quella parlata dai suoi genitori durante la sua crescita, è un dialetto veneto di origine contadina. Fusinato dice che le tradizioni orali secolari, tramandate di generazione in generazione, stanno scomparendo dalla sua vita. «Tornerò esattamente nello stesso luogo da cui sono emigrati i miei genitori per rappresentare il Paese in cui sono emigrati. C’è un ripiegamento del tempo», ha concluso Fusinato.
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