31 maggio 2024

Un racconto della Biennale di Sydney, che compie 50 anni

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Per i suoi 50 anni, la Biennale di Sydney si amplia coinvolgendo tre nuovi spazi, per gettare una luce sulle crisi del nostro tempo: cosa abbiamo visto al Chau Chak Wing, alle UNSW Galleries e alla White Bay Power Station

White Bay Power Station - Alberto Pitta - Happiness and Resistance, 2023 printed fabric, cotton
White Bay Power Station - Alberto Pitta - Happiness and Resistance, 2023 printed fabric, cotton

La Biennale di Sydney, per il suo cinquantesimo anniversario, ha esteso i propri poli espositivi, ospitando le opere degli artisti in tre siti di eccezione: il Chau Chak Wing Museum at the University of Sydney, l’UNSW Galleries e la famosa centrale elettrica White Bay Power Station. Ten Thousands Suns è il titolo scelto dai curatori Cosmin Costinaș e Inti Guerrero: «Il punto di partenza è il riconoscimento di molteplici culture e cosmologie che da sempre legano il mondo al Sole. […] Una molteplicità di “Soli” evoca un mondo rovente già concepito sia in diverse cosmologie e soprattutto nel nostro momento di emergenza climatica. Ma questa immagine trasmette anche “la gioia solare” delle molteplicità culturali, […] nonché la gioia dei carnevali come forma di resistenza in contesti che hanno superato l’oppressione coloniale». 96 sono stati gli artisti invitati, provenienti da 47 Paesi, che hanno presentato le loro opere in sei spazi espositivi. Abbiamo già scritto dei progetti alla Art Gallery of New South Wales, ad Artspace e al Museum of Contemporary Art Australia (qui l’articolo). Oggi facciamo un giro tra i tre nuovi spazi.

Biennale di Sydney 2024: un giro tra i nuovi spazi espositivi

Chau Chak Wing Museum at the University of Sydney

Il più piccolo ma interessante polo espositivo viene dedicato alla “Generazione Rubata”, ossia ai quei bambini aborigeni dell’Australia occidentale che, nell’ambito delle politiche razziste di assimilazione australiane degli anni ‘40, furono allontanati con la forza dalle loro famiglie e detenuti contro la loro volontà al Carrolup Native Settlement. La missione principale di Carrolup era infatti quella di assimilare i giovani indigeni addestrando le ragazze aborigene a diventare domestiche e i ragazzi aborigeni a diventare braccianti agricoli.

Sono stati quindi esposti facsimili stampati in digitale dei disegni originali a pastello, grafite e carboncino di 11 bambini, di cui conosciamo solo sei nomi: Arthur Bropho, Alma Cuttabut, Parnell Dempster, Phillip Jackson, Gregory Kelly, Edie Wallam.

Il Chau Chak Wing Museum lascia spazio anche alla narrazione di altri gruppi etnici minoritari, come il gruppo indiano Baiga, a cui l’artista indiana Mangala Bai Maravi dedica i suoi dipinti, concentrandosi sulla tradizione del tatuaggio Godna, minacciata negli ultimi anni a causa dello sfollamento del popolo Baiga.

Nella parte conclusiva dell’esposizione viene data voce a un’altra minoranza, ossia quella del mondo queer australiano e statunitense degli anni ‘70 e ‘80, che è stato descritto dalle foto e dai dipinti rispettivamente dell’australiano-cinese William Yang e dello statunitense Martin Wong.

Mangala Bai Maravi (India) Born 1988 in Dindori Madhya Pradesh, India Lives and works in Madhya Pradesh – Baiga Godna Indian Tribe, 2024 ink on paper – Chau Chak Wing Museum at the University of Sydney and White Bay Power Station
Martin Wong, Chau Chak Wing Museum at the University of Sydney Mintaka, 1990 acrylic on canvas Courtesy Sunpride Foundation, Hong Kong Ferocactus peninsulae v. viscainensis, 1997-98 acrylic on canvas Courtesy Sunpride Foundation, Hong Kong Untitled, 1990 acrylic on canvas; William Lim, Mi Vida Loca, 1991, acrylic on canvas, Courtesy Sunpride Foundation, Hong Kong A Near Miss, 1983, acrylic on canvas, Saturday Night, 1992 acrylic on linen, Esmeralda: Songs for the Hearing Impaired, 1982, acrylic on canvas Courtesy Alan Lau LA2, Malicious Mischief (collaboration with LA II), 1997, acrylic on canvas, Untitled (Kids at Statue of Liberty), 1992 acrylic on canvas

UNSW Galleries

Nelle UNSW Galleries si apre un mondo sotterraneo costituito da corridoi e da spazi di estrazione mineraria che assumono un valore metaforico, alludendo all’inferno morale dello sfruttamento minerario abitato da diavoli avari dediti solo all’accumulazione di ricchezza, senza nessuna preoccupazione per le conseguenze sociali della loro attività.

L’ingresso alle Gallerie è dominato da giganteschi plug anali realizzati con materiali naturali. Il collettivo Tiwi sistagirl Yanagamini ha creato queste sculture in segno di protesta giocosa contro la costruzione di grandi oleodotti e gasdotti che disturbano le loro terre sacre.

Nell’intrico di questi corridoi si scopre poi un legame profondo tra l’Australia e il mondo musulmano, che raggiunge il suo momento più importante durante le guerre del XX secolo, combattute dai soldati australiani a Gallipoli e in Palestina. Questi eventi sono rimasti centrali nella memoria storica australiana e hanno lasciato molte eredità culturali sia per il mondo islamico che australiano.

Le storie orali tramandate dai cammellieri costituiscono infatti il fulcro della ricerca artistica dell’afgano Elyas Alavi in The Sound of Silence. Onorandone le storie e le canzoni, Alavi ricorda la saggezza e la filosofia che i cammellieri portavano nella loro musica e sul dorso dei loro cammelli. Attraverso la ricerca d’archivio e il lavoro sul campo, Alavi rileva parallelismi tra le condizioni restrittive sopportate dalle prime comunità di cammellieri e la realtà contemporanea delle diaspore afghane e mediorientali in tutta l’Australia. Cantando a gran voce di fronte all’impatto duraturo della politica dell’Australia Bianca, The Sound of Silence delizia e allo stesso tempo divulga l’eredità dimenticata dei cammellieri.

UNSW – Elyas Alavi – 2024, rubab instruments, neon

White Bay Power Station

Per la prima volta nella storia della Biennale, la White Bay Power Station, patrimonio culturale dell’Australia, diventa spazio espositivo.  La centrale elettrica, costruita tra il 1912 e il 1917 per fornire energia ai treni e alla rete elettrica suburbana, ha rappresentato per anni il simbolo delle origini e delle tradizioni industriali della zona.

Ancora una volta la resistenza indigena e delle minoranze è protagonista delle installazioni dei 32 artisti in mostra. L’area del boiler è occupata dai ballerini indigeni fotografati dall’artista australiano-cinese William Yang nel 1976, di cui viene esaltata la forza esuberante e la gioia resiliente. La danza dei ballerini ben si allinea con il ballo delicato delle lunghe guaine di tessuto colorato di Alberto Pitta, realizzate in onore dei lignaggi culturali degli schiavi africani in Brasile.

Al di sopra dell’installazione di Pitta, volano gli aquiloni realizzati in sei mesi dai i gruppi locali Orquideas Barrileteras e Barrileteros Almas del Viento. Queste fragili opere non sono costruite per vincere la prova del tempo, ma si arrendono invece ai cicli di crescita e decadimento propri della vita.

Nella zona della turbina, invece l’artista Darrell Sibosado, originario della comunità Lombadina della costa del Kimberley, reinterpreta i Riji, ossia disegni tradizionali a forma di conchiglia del popolo dei Bardi, trasformandoli in moderni neon luminosi. Ingrandendo la luminescenza naturale delle conchiglie, le opere d’arte di Sibosado rappresentano una potente testimonianza della vitalità duratura e sempre attuale delle tradizioni aborigene, che non hanno mai ceduto alle aggressioni esterne.

Infine, il piano superiore della sala delle turbine è dominato dalle illustrazioni dell’artista statunitense Chitra Ganesh. Le 27 incisioni danno forma ai sogni della protagonista della storia rivoluzionaria di Rokeya Sahkawat Hossein. La scrittrice di Sultana’s Dream presentava una politica controcoloniale che prefigurava il femminismo ecologico poi diventato prolifico nell’Asia meridionale. Tracciando paralleli tra il materiale originale e le preoccupazioni contemporanee, Ganesh considera i modi in cui un futuro utopico potrebbe ancora essere realizzato, di fronte alle continue lotte geopolitiche e al collasso ambientale, con l’immancabile ottimismo delle donne.

È infatti un messaggio di ottimismo quello che la 24esima Biennale di Sydney vuole lasciare ai suoi visitatori: d’altronde il sole non cessa di splendere. Non cessa di farlo quando gli imperi appassiscono, non cessa con i disastri naturali e non si è fermato nemmeno nell’orrore dei disastri nucleari.

White Bay Power Station – William Yang – Publicity Photographs for Nigeria tour #1-#21, 1976
White Bay Power Station – Darrel Sibosado – Galalan at Gumiri, 2023 LED light installation
White Bay Power Station – Chitra Ganesh – Sultana’s Dream, 2018 reproduction, portfolio of 27 linocuts on BFK Rives Tan

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