Dopo la fuga di notizie delle scorse ore, con il sottosegretario delegato per l’Arte e l’Architettura Contemporanea, Vittorio Sgarbi, che svelava all’Ansa il nome di Luca Cerizza come curatore del Padiglione Italia alla 60ma Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia, arriva anche l’indiscrezione sull’artista: secondo quanto riportato da Repubblica, si tratta di Massimo Bartolini, che alla manifestazione in Laguna già ha partecipato in quattro occasioni però non come artista singolo. Ma Sgarbi, già in tempi non sospetti, non ha nascosto la sua contrarietà all’utilizzo dei 1200 metri quadrati del Padiglione delle Tese delle Vergini all’Arsenale da parte di un solo artista, com’è avvenuto, per la prima volta, per la scorsa edizione, con il progetto di Eugenio Viola e Gian Maria Tosatti. Insomma, a sei mesi dall’apertura della manifestazione in Laguna, i giochi sembrano essere stati fatti, anche se manca ancora l’ufficialità. Dal Ministero della Cultura e dal ministro Gennaro Sangiuliano non arrivano ancora comunicati ufficiali.
Dopo aver effettuato studi di geometra a Livorno ed essersi laureato all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1989, Bartolini ha insegnato all’UNIBZ Bolzano, alla NABA di Milano and all’Accademia di Bologna. La sua ricerca si esprime attraverso l’utilizzo e l’ibridazione di diversi media, tra scultura, installazione e suono, per indagare sullo spazio, sulla percezione e sui meccanismi relazionali. Il progetto presentato da Massimo Bartolini e Luca Cerizza per il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2024 »Ruota attorno al tema della costruzione di comunità attraverso l’invito all’ascolto dell’altro e propone una rappresentazione monografica, quantunque non antologica, di un artista affermato e riconosciuto a livello nazionale e internazionale». A questo proposito, Sgarbi ha già espresso il desiderio di «Avere chiarimenti dal Curatore» e modifiche e interventi non sono da escludere, anche se ormai il tempo stringe.
Bartolini e Cerizza hanno avuto modo di lavorare in diverse occasioni. Al Centro Pecci di Prato ha chiuso non troppo tempo fa un’ampia mostra dell’artista nato a Cecina nel 1962, co-curata dallo stesso Cerizza insieme a Elena Magini. Hagoromo ne era il titolo, ripreso da una performance messa in scena per la prima volta nel 1989 all’interno del vecchio studio di Bartolini: su un palco illuminato, un musicista improvvisava una musica per sassofono e una danzatrice vi reagiva muovendosi dentro un parallelepipedo su ruote. Per la mostra al Centro Pecci fu presentata anche una pubblicazione realizzata nell’ambito della decima edizione dell’Italian Council, il programma di promozione dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. «La potenza della mostra risiede proprio nell’aver evitato le opere muscolari per concentrarsi invece sulla creazione di un contesto intimo, quasi domestico, dove ogni opera è portatrice di un pensiero sul mondo, espresso attraverso sussurri e non grida, silenzi e non rumori», scrivevamo nella nostra recensione.
Dal 1993, ha esposto in numerose mostre, personali e collettive, in Italia e all’estero, presso gallerie e sedi istituzionali, come Henry Moore Foundation (Leeds, 1996), British School at Rome (Roma 1997, con Martin Creed), PS1 (New York, 2001), Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci (Prato, 2003), GAM (Torino, 2004), Museu Serralves (Porto, 2007), Museion (Bolzano, 2010, con Stefano Arienti), Auditorium Arte (Roma, 2012), SMAK (Gent, 2013), Museo Marino Marini (Firenze, 2015), Fondazione Merz (Torino, 2017), Le Futur derrièr nous (Villa Arson, 2022). Ha partecipato già a quattro edizioni della Biennale di Venezia, nel 1999, 2001, 2009, 2013, oltre a Manifesta 4 (Francoforte, 2002) e Documenta 13 (Kassel, 2012) e alle Biennali di San Paolo (2004), Shangai (2006, 2012), Pune (2017), Yinchuam (2018), Bangkok (2020).
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