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Biennale di Sharjah: gli artisti da scoprire alla kermesse degli Emirati Arabi
Arte contemporanea
La Biennale di Sharjah festeggia il trentesimo anniversario della sua nascita, invitando 160 artisti e offrendo una panoramica globale su tematiche legate alle problematiche postcoloniali ed ecologiche e dando voce agli artisti dei Sud del mondo e della diaspora. Come spiega la curatrice della Biennale nel catalogo Hoor Al Qasimi, all’inizio la Biennale aveva un raggio più circoscritto, prevedeva la presenza solo di artisti provenienti dal Medio Oriente, mentre dal 2003 la prospettiva si è allargata, con la finalità di confrontarsi con il resto del mondo, di creare dibattito e confronto. Il fatto che a distanza di un mese dall’inaugurazione della Biennale si svolga il March Meeting non è secondario: si tratta di quattro giorni intensi di conferenze e di dibattiti su temi interdisciplinari che connettono le opere ad una discorsività e scambio aperto tra tutti i partecipanti.
Il tema di quest’anno è stato “Postcolonial Costellation: Art, Culture, Politics after 1960”. Il giro di boa è avvenuto dopo che la curatrice ha visitato documenta 11 nel 2002, curata da Okui Enwezor, che ha utilizzato i quattro anni di intervallo tra un’edizione e l’altra per costruire quattro piattaforme di conferenze e dibattiti in quattro continenti e che ha aperto il dibattito a contro-narrazioni rispetto alle “forze omogeneizzanti e totalizzanti” della globalizzazione. Il March Meeting è nato poi, dal 2010, ma nel frattempo la Biennale di Sharjah è diventata un campo di confronto aperto e diffuso. La kermesse è dislocata in varie location di Sharjah, ma anche in affascinanti siti che si affacciano sul Golf dell’Oman. Il titolo della Biennale di quest’anno è “Thinking historically in the Present” ed è stato pensato da Okui Enwezor, che aveva concepito la struttura polimorfa e complessa di questa Biennale. Alcuni degli artisti invitati erano presenti nelle mostre di Enwezor, già dalla storica Biennale di Johannesburg del 1997. Il March Meeting infatti si è stato inaugurato dal discorso del curatore spagnolo Ocatavio Zaya, tra i curatori chiamati a Johannesburg e a Kassel nel suo team, in tandem con l’artista cubana Maria Magdalena Campos Pons. Molti artisti molto noti provengono dagli Stati Uniti o dalla Gran Bretagna, sempre preferibilmente afrodiscendenti: tra loro strepitose sono le opere di Isaac Julien e di John Akomfrah, installazioni video complesse e coinvolgenti. Il video multicanale di Julien, intitolato Once Again…(Statues Never Die), 2022, che, nella sua eleganza e nel titolo stesso, si riferisce all’alba della Nouvelle Vague (Les statues meurent aussi, 1953) e al clima raffinato della Harlem Renaissance statunitense animato dal poeta Langston Hughes. L’enorme video, Arcadia 2023, di Akomfrah tratta temi economico ed ecologici con poesia e immagini da molteplici fonti.
La stessa chiave spettacolare per impatto ed estensione del lavoro viene utilizzata nelle installazioni dalla libanese Dala Nasser, che nel palinsesto di tessuti stesi fa riferimento al fiume Al Wazzani, che dal Libano arriva nei territori occupati della Palestina, e – tutti raccolti nella lontana e vagheggiata Ice Factory – dai famosi artisti Doris Salcedo, Nari Ward e Ibrahim Mahama. Molto apprezzata anche dalla critica internazionale è l’installazione Uprooted, 2020-2022, della colombiana naturalizzata statunitense Salcedo: una metafora potente dello sradicamento e dell’irraggiungibile anelo e nostalgia della casa e dell’origine. Il giamaicano naturalizzato statunitense Ward accoppia un gigantesco oggetto a cono che riprende quelli usati per pescare nei villaggi giamaicani e una doha, imbarcazione tipica araba nell’installazione Duty Colossus, 2023. Infine, il grande tessuto appeso a formare una scenografica U del ghanese Mahama, sembra fasciare l’esterno dell’architettura. Tornando a Sharjah, la Calligraphy Square si apre con l’installazione multimediale, che ricorda miti e simboli indigeni di Carolina Caycedo (colombiana che vive a Los Angeles) e si chiude con la concentrata installazione che accoppia simboli della tratta degli schiavi come i remi verticali e interni di borghesi bianchi con suppellettili esotiche di Carrie Mae Weems intitolata The In Between, 2022-2023, l’omaggio più evidente alla vita e al lavoro di Okui Enwezor con la riproduzione di tutti i suoi cento libri.
Alla Khalid Bin Mohammed School, la giustapposizione di diversi video rappresenta la ricchezza espressiva e le diverse anime della Biennale: al video del 2005 di Steve McQueen che ricrea l’atmosfera affannosa e drammatica di un inseguimento notturno, si passa alle ritualità e ai valori identitari del video del gruppo haitiano The Living and the Dead Ensemble, per poi spostarsi alla video-performance dell’artista queer dello Zimbabwe mandla ed approdare alla processualità super-tecnologica con uso raffinato dell’animazione della coreana A-young Kim con il video Porosity Valley 2: Tricksters’ Plot, 2019. Molti artisti sono presenti con più opere e vari lavori sono stati prodotti grazie alla Sharjah Art Foundation grazie alla quale hanno luogo anche la Biennale e il March Meeting, indicanti la particolare intelligenza e sensibilità culturale dello sceiccato di Sharjah. Folta la presenza di artisti indiani, tra i quali mi ha colpito ad esempio, ma non è l’unica, Lavanya Mani per la bellezza dei dipinti su stoffa e dei disegni rimandanti alla storia coloniale dei traffici del tessuto in India, o l’indonesiana Maharani Mancanagara per l’abilità di coniugare tecniche classiche come l’incisione, unita all’animazione e al disegno intreccianti leggende autoctone.
L’uso provocatorio ed ironico dell’esotismo da turisti di massa di Joiri Minaya (domenicana che vive negli USA) declinato attraverso la fotografia, il collage ed il video alleggerisce in più punti le atmosfere impegnate della mostra. Mentre le due installazioni partecipative della libanese Tania El Khoury creavano un momento di condivisione collettiva nel pubblico. La gettonatissima uzbeca Saodat Ismailova invitata a documenta 15 (2022) e alla Biennale di Venezia del 2022 era presente con tre video. Il bilancio è assolutamente positivo: c’è una sensibile attenzione alla rappresentatività di varie anime dei Sud Globali, dagli aborigeni australiani, ai nativi americani, dai maori agli hawaiani, indonesiani, palestinesi, kazaki e tanti altri, sottolineando la predominanza di artiste donne. Si è cercato anche di dare visibilità alle più diverse pratiche artistiche: abbiamo nominato video e installazioni, performance e musica o sound art, ma tutto il Sharjah Art Museum è dedicato alla pittura e alla fotografia, presenti anche in altri luoghi della mostra. Infine, si impongono nuovi criteri di analisi critica e volontà di comprensione dialettica per affrontare la polimorfa presenza di tante opere ed artisti di indubbia qualità.