Tutto il mondo dell’arte aspetta la Biennale di Venezia, la cui 59ma edizione, curata da Cecilia Alemani, aprirà al pubblico il 23 aprile, con la tradizionale vernice dal 20 al 22 aprile. In quei giorni, gli addetti ai lavori, tra artisti, galleristi, collezionisti, curatori e critici d’arte, giornalisti e direttori di musei, torneranno a esplorare la città in grande spolvero e ricca di appuntamenti, dopo lo stop prolungato causa pandemia. La Biennale di Venezia rappresenta una vetrina di primissimo piano non solo per gli artisti ma anche per altre manifestazioni e grandi iniziative, che decidono “approfittare” della concentrazione – in tutti i sensi – di quei giorni per presentare i propri programmi. E cosa succede quando una biennale incontra un’altra biennale? La riposta non è solo questione di matematica, intanto ecco tre progetti internazionali da tenere nei radar.
La Gwangju Biennale Foundation e la città di Gwangju presentano “to where the flowers are blooming”, una mostra speciale dedicata al 5.18 Democratization Movement, che si terrà allo Spazio Berlendis dal 20 aprile al 27 novembre 2022. Il titolo della mostra, “dove sbocciano i fiori”, è una citazione tratta dal capitolo finale di “Atti umani”, struggente romanzo di Han Kang, ben tradotto in Italia da Adelphi, che affronta il trauma del “Massacro di Gwangju” del maggio del 1980. Nell’ambito delle rivolte contro la nascente dittatura di Chun Doo-hwan e per protestare contro l’introduzione della legge marziale, la popolazione si riunì intorno al Movimento per la Democratizzazione, guidati da studenti e professori dell’Università Nazionale di Chonnam, ma le manifestazioni furono barbaramente represse e culminarono nell’eccidio di Gwangju. 5 1 8, seguendo una tradizione coreana, anche questo evento viene ricordato con tre numeri. Proprio durante l’ultima Biennale d’Arte di Venezia, nel 2019, a Palazzo Fortuny, era stata presentata una grande ed emozionante retrospettiva su Yun Hyong-keun, maestro dell’arte coreana, incentrata proprio sulla rielaborazione, attraverso l’arte, di quel tragico episodio segnante.
Questa nuova mostra, curata dal dipartimento espositivo della Gwangju Biennale Foundation, si compone di tre sezioni. La prima è un archivio curato da Yoo Kyoungnam, ricercatore presso il 5.18 Institute of Chonnam National University, che introduce l’eredità del Movimento di democratizzazione 5.18 a Gwangju. La seconda sezione è composta da opere commissionate dalla Biennale di Gwangju, realizzate a partire da una ricerca sulla storia della città e sul Movimento per la Democratizzazione. Tra queste, “Shifting Borders”, di Kader Attia, “The 49th Hexagram”, di Ho Tzu Nyen, “Pop Song: March for the Beloved, ver.2”, di Bae Young-hwan. La terza sezione riflette sull’attivismo contemporaneo, con opere di Hong Sung-dam, Noh Suntag, Ahn Chang Hong, Choi Sun, Jin Meyerson, Kim Chang-hun, Park Hwayeon, Suh Dasom. Insomma, un’ottima occasione per conoscere una parte fondamentale di storia contemporanea – che riguarda anche l’Occidente e che alla luce dei recenti eventi bellici in Ucraina assume anche altri significati – e per lanciare uno sguardo alle ricerche artistiche coreane più attuali.
“Something Out of It” è il progetto presentato da LIAF- Lofoten International Art Festival – manifestazione biennale d’arte contemporanea che si svolge nelle omonime isole al largo della costa settentrionale della Norvegia – come anteprima della prossima edizione, in apertura il 3 settembre 2022. A curare la biennale e il progetto di anticipazione a Venezia, il duo italiano Francesco Urbano Ragazzi.
“Something Out of It”si divide in due mostre, una dell’artista francese Pauline Curnier Jardin (Marsiglia, 1980), nella Casa di Reclusione Femminile della Giudecca, un carcere situato nell’ex monastero delle Convertite, dove attualmente risiedono circa 60 detenute, l’altra di Tomaso De Luca (Verona, 1988), vincitore del MAXXI BVLGARI Prize 2021, che si svolgerà in un ambiente domestico, la residenza dei collezionisti Massimo Adario e Dimitri Borri. Il progetto in realtà è una sorta di metaprogetto, perché riflette specificamente sui meccanismi di produzione degli eventi biennali, proponendo un nuovo modello di inclusione e sostenibilità, «Per affermare una nuova alleanza tra arte e realtà», spiegano da LIAF.
“Something Out of It” è prodotto in collaborazione con CASE CHIUSE di Paola Clerico, Zuecca Projects, Rio Terà dei Pensieri, DROMe, Casablanca Studio. Il progetto è supportato da Kunsternes Hus, Centraal Museum Utrecht, EVA International, Göteborg International Biennial for Contemporary Art e ha vinto la decima edizione dell’Italian Council, bando promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
Durante la Biennale di Venezia, sarà presentata in conferenza stampa anche la prossima edizione della Biennale di Lione, dal titolo “Manifesto of Fragility” e, d’altra parte, l’ecosistema della Laguna, con le sue fragilità tanto poetiche quanto strutturali, rappresenta il contesto adatto. Curata da Sam Bardaouil e Till Fellrath, la 16ma edizione della Biennale di Lione si terrà dal 14 settembre al 31 dicembre 2022 e indagherà la fragilità dell’era contemporanea, ponendo l’attenzione sulle possibili forme generative di resistenza che prendono spunto dal passato, inglobano il presente e si predispongono a un futuro di sostenibilità.
Nell’intenzione dei curatori, il dialogo è parte fondamentale di questo processo e, proprio per questo motivo, la Biennale ha iniziato a raccontarsi già diversi mesi prima della sua apertura ufficiale, grazie a collaborazioni strette con istituzioni internazionali. «La nostra fragilità è forse una delle poche verità universalmente sentite nel nostro mondo diviso. Da nessuna parte questo è più evidente che sopra e dentro il corpo. Le nostre comunità, tese da crescenti disordini civili innescati dal rifiuto di inchinarsi di fronte a ingiustizie secolari e iniquità endemiche, provocano nella loro fragilità un accresciuto senso di frenesia sociale. La nostra fragilità è inevitabile», si legge nel Manifesto della Biennale di Lione.
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