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Bob Law – Thomas Dane Gallery
Arte contemporanea
Napoli, via Crispi 69. Thomas Dane, il gallerista londinese, impiantò qui, nel 2018, una nuova galleria che, al di là di una veranda, ha l’azzurro del cielo, il verde dei giardini e il mare non molto lontano. All’interno, ha la luce del tutto bianco delle pareti, che, adesso e fino al 18 di questo mese, efficacemente accolgono le opere di Bob Law (1934/ 2004).
Anche per uno sprovveduto visitatore appare chiara l’essenzialità del discorso che queste opere ci rivolgono, iniziando dalla scena in miniatura dell’Ultima Cena in ferro brunito: un tavolo allungato, una sedia più importante delle altre dodici, di cui una sembra incidentata (ma è Giuda). Non lontane, due sedie, diverse tra loro, stanno lì a rappresentare il Re e la Regina. Sono di bronzo ma forse non sono senza significato le leggere pennellate di verde, quasi un verderame, che sembrano suggerire il logoramento della Istituzione monarchica. Le scene sono prive di figure: Law riferisce l’esistenza del Cristianesimo e della Monarchia ma non gli dà corpo né vita. Mentre del tutto astratte sono altre sculture, in metallo scuro, forate a rappresentare il pieno e il vuoto.
Law usa questa figuratività essenziale, minimalista, (Law è considerato uno dei padri del minimalismo) non per affermarsi, con la sua originalità, nel mondo dell’arte, lui, modesto carpentiere, ma perché vuole essere semplice, essenziale, nel modo di vivere e di pensare, eliminando il superfluo, che la lunga storia della civiltà occidentale ha creato. Il desiderio di semplicità porta Law a disegnare delle composizioni molto semplici, composte da pochi elementi, quadrati o rettangolari, messi l’uno sull’altro, che (e qui c’è bisogno di spiegarlo perché non è chiaro) rappresentano i castelli della Cornovaglia.
Anche la natura è presente in disegni semplificati e se ne nota soprattutto uno: una semplice curva disegna una collinetta, sulla quale fitti segni obliqui rappresentano una fitta vegetazione. È un modo di rappresentazione che ricorda molto precisamente i disegni infantili, il che si accorda con l’affermazione di Law che dice di voler imitare la pittura paleolitica. Però la verità della sua anima mi sembra essere espressa soprattutto da alcuni lavori artigianali: delle sedie, una chiamata Van Gogh, l’altra Gauguin, per dar loro maggiore dignità artistica.
Ma una certa reale commozione suscita soprattutto – mi sembra – quella sedia senza nome che rappresenta il lavoro di un artigiano, svolto con una tale perfetta attenzione da giungere fino a una sorta di contemplazione; guardando quella sedia, si risente quella atmosfera contemplativa, creata da un Law diventato naif. Così, storicamente, può essere interpretato un quadro che appare tutto nero: il colore nero, come viene anche suggerito dai piccoli grumi di colore posti a lato del quadro, è dato dalla stratificazione di diversi colori, che significano – credo – i periodi storici della nostra civiltà che si sono sovrapposti l’uno sull’altro, assorbendo ciascuno strato, ciascun periodo storico, quello precedente.
Un’efficace testimonianza del volere liberarsi da ogni sovrastruttura mentale e culturale, sono invece alcuni grandi quadri con delle semplici linee sfacciatamente vacillanti, che denunciano la loro realizzazione a mano libera, a volte si diramano da un punto all’interno, ma, come per errore, non esattamente al centro, del quadro: una garbata contestazione -sembra – della logica euclidea. Ma il mandar tutta all’aria la civiltà occidentale e il suo lungo, secolare lavoro sembra essere espresso soprattutto da un enorme rettangolo allungato, in cui delle linee un po’ traballanti ne disegnano la cornice. È un quadro di un bianco opaco, senza vita e senza luce, che rappresenta il vuoto, che è quello che, eliminato ciò che la civiltà ha creato, ci rimane.