-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Dal 18 al 30 luglio si è svolta la quarta residenza del 2019 presso BoCs Art di Cosenza. La residenza si costituisce attraverso inviti concatenati: il curatore Giacinto Di Pietrantonio ha invitato tre giovani curatori, Irene Angenica, Giovanni Paolin e Giacomo Pigliapoco, i quali, a loro volta, hanno invitato quattro artisti ognuno. Li abbiamo intervistati per farci raccontare com’è andata la loro esperienza.
L’ospitalità, lo scambio e il dialogo sono temi che caratterizzano le settimane di residenza a BoCs Art; l’invito rivolto agli artisti in quest’ottica presuppone anche un approfondimento del rapporto col curatore?
«Decisamente! Dodici giorni insieme in un rapporto giornaliero possono essere un’occasione unica per conoscersi, soprattutto se non si ha già avuto occasione di collaborare prima. Avere diversi livelli di conoscenza reciproca è stato uno dei punti di forza del nostro periodo di residenza.
Quando si hanno rapporti con degli artisti, a meno di casi particolari, le occasioni per vivere lo studio e vederli al lavoro di solito sono molto puntuali e difficilmente vanno oltre il numero di cinque o sei: questo tipo di convivenza quasi “obbligata” invece potrebbe essere definita come un’esperienza di studio visit continua e iper potenziata. Come curatori abbiamo subito capito l’importanza di non rimanere ospiti passivi e creare un rapporto profondo con il lavoro di tutti gli elementi del gruppo, oltre i singoli gruppi di invitati: da qui l’idea delle presentazioni serali, cominciando proprio da noi e dalle nostre esperienze.
La prima ispirazione per impostare tutto il lavoro in residenza è arrivata dalle parole del brindisi di benvenuto di Anthony Huberman al convegno “Symposium of Hospitality” tenuto nel 2012 presso lo SMART Museum of Art dell’università di Chicago. Visto che rispondono perfettamente alla tua domanda e possono essere utili a molti altri pensiamo sia giusto riproporre qui un breve estratto del testo:
As curators we are always the guests of the artists we decide to work with. We knock on their doors and ask whether they would be open to having us spend some time in their studio, a place they have so carefully constructed over the course of many years. This is the place of their ideas, their questions, their images, their objects, their convictions, their speculations. As a curator I’m always a guest in this place. (…)
In the end, my goal is for an artist to be able to then decide whether or not they want to open their home to me and have me spend more time there».
La residenza di BoCs Art si è conclusa per la prima volta con una mostra collettiva dove il lavoro degli artisti è stato messo in dialogo, uscendo dallo schema che prevede l’assegnazione di un bocs ad ognuno. A JUMI, chiude quindi il cerchio sulla ricerca svolta in residenza da artisti e curatori insieme?
«Abbiamo voluto fare qualcosa di diverso rispetto alla solita restituzione che vede ogni artista presentare i lavori prodotti durante la residenza nel proprio bocs-studio. Mettere le opere degli artisti in dialogo tra loro ci sembrava più in linea rispetto al modo di operare che abbiamo mantenuto durante tutto il periodo della residenza.
L’inaugurazione è così diventata occasione non solo di presentazione lavori, bensì di una mostra che mettesse in dialogo l’operato degli artisti: una sfida molto stimolante anche dal punto di vista curatoriale!
Patrizia Emma Scialpi e Alberto Venturini sono accomunati da un’indagine e da una riflessione sulla controcultura urbana. Jacopo Belloni e Matilde Sambo hanno lavorato in un ambiente unico indagando elementi naturali. Nicola Lorini ha condiviso il bocs, e la metodologia processuale creativa, con Gabriel Stoeckli. Davide La Montagna e Marta Spagnoli hanno creato un ambiente intimo e poetico. Pietro Ballero e Davide Sgambaro hanno ricreato uno scenario che indaga le diverse sfumature del fallimento. Paolo Bufalini ha realizzato una nuova scultura sonora pensata per l’ambiente esterno e Giovanni Chiamenti ha realizzato una nuova serie di altari, inno alla sacralità della natura.
Infine, a 15 mani abbiamo realizzato Tonico Caldo (Real Estate), un’opera collettiva che è diventata simbolo della nostra residenza. Una piscina gonfiabile, un telo mare e un tubo di gomma, diventati simbolo dei bei momenti passati insieme».
La residenza è stata un luogo attivo di sperimentazione su tutti i fronti, anche quello della rete che ha saputo sviluppare. Quale sarà il seguito di questa esperienza con BoCs Art?
«Abbiamo pensato alla luce della sinergia, dell’affiatamento, della complicità, della naturalezza, dell’intesa, e perchè no anche dell’amicizia, instauratasi nei giorni di residenza che fosse un peccato perdersi e lasciare tutto a fissarsi come un bellissimo ricordo nelle nostre menti. Visto e considerato che gran parte di noi è partito dal Nord-Italia e che di tutto ciò non fosse tornato quasi nulla fuorché un flusso di parole e racconti, sentiamo il bisogno di produrre qualcos’altro.
I lavori presentati in A JUMI sono un’introduzione, un primo step, una fase embrionale della produzione degli artisti coinvolti, visti i tempi stretti della residenza.
Ci siamo ripromessi quindi di lavorare ad una ri-presentazione dei lavori con un potenziamento e affinamento degli stessi, un’occasione per incontrarci di nuovo e lavorare ancora insieme. Ci piacerebbe esportare parte di queste esperienza, e nuove produzioni, a distanza di qualche mese in una mostra: ci attiveremo quindi per un secondo capitolo di ciò che è stato realizzato a Cosenza».