Bologna, il percorso di Italo Zuffi in “Fronte e Retro”

di - 15 Maggio 2022

Il Mambo di Bologna ha presentato la mostra “Fronte e retro”, personale di Italo Zuffi a cura di Lorenzo Balbi e Davide Ferri che si è articolata negli spazi del museo e che ha visto il “secondo opening” lo scorso 11 maggio a Palazzo De’ Toschi. Un percorso “circolare” rispetto alla carriera dell’artista italiano, con il quale abbiamo dialogato -insieme ai curatori Balbi e Ferri- in occasione di questa estensione espositiva, mentre al MAMbo si chiude la prima parte.

Ci racconti come si sviluppa la mostra “Fronte e Retro” a Palazzo De’ Toschi e quale la differenza con l’impianto del MAMbo?
Davide Ferri: Il progetto che Italo Zuffi ha concepito per la Sala Convegni di Palazzo De’ Toschi si colloca in stretta continuità con quello in chiusura al MAMbo. Se la prima parte costituisce un’ampia retrospettiva sul suo lavoro, a Palazzo De’ Toschi troviamo una serie di tre nuove produzioni, nate in stretta correlazione con lo spazio. Baricentro – concettuale e allestitivo – della mostra è il dialogo tra due opere che rimandano in ultima analisi a due posture differenti dell’individuo. Da un lato il suo percorso ‘razionale’ verso la civilizzazione – raccontato attraverso la parola scritta; dall’altro una sua certa spensieratezza, che lo fa essere nel mondo fischiettando. Una terza opera, nella sala più piccola, si concentra invece sul rapporto tra reiterazione ossessiva e alterazione attraverso il linguaggio scultoreo.

Italo Zuffi, Civilizzarsi, 2021, 72 set di 3 elementi in alluminio smaltato inciso, 19 x 17 x 0,3 cm, Foto: Valentina Cafarotti e Federico Landi

Quali sono state le motivazioni che ti hanno portato a ospitare Italo Zuffi al MAMbo?
Lorenzo Balbi: I motivi sono diversi, prima di tutto penso che Italo sia uno degli artisti più interessanti di quella generazione nata alla fine degli anni Settanta e che fosse giunto il momento di dedicargli un’antologica in un museo italiano che potesse presentare la totalità del suo lavoro. Dall’altra parte ritengo che Italo prosegua un discorso su un certo tipo di arte italiana che fa della performatività e ingaggio con il pubblico un punto fondamentale. Percorso che il MAMbo ha iniziato con Cesare Pietroiusti, proseguendo con Aldo Giannotti e che è continuato con Italo Zuffi. Tutti e tre inoltre uniscono alla ricerca artistica una visione critica dell’artista e del suo posizionamento e ruolo all’interno della società presentando un genere di lavori che ritengo essere assimilabili.

Le mostre di Pietroiusti e Giannotti sono stati progetti che hanno vissuto molto lo spazio espositivo e della Sala delle Ciminiere, è successa la stessa cosa con questa mostra?
Assolutamente sì, di nuovo l’idea è stata quella di utilizzare lo spazio e dialogare al suo interno con lavori e proposte ad hoc. Nel caso di Italo la Sala delle Ciminiere è stata occupata dalle Scomposizioni, opere-sculture che riflettono molto sull’architettura relazionandosi inoltre con le quella di Aldo Rossi. Ovviamente non sono mancate le parti di relazione con il pubblico, per esempio è stata rigiocata in pianta stabile la celebre Partita di bocce con le verdure che è una delle opere più simboliche di Italo. Alcune performance sono andate a attivare opere presenti in mostra, in altri casi hanno lasciato delle tracce tanto che la mostra dell’opening è molto diversa da quella che scopriamo oggi.

Italo Zuffi, Avocado, un quarto, 2022, Marmo e materiali vari, dimensioni varie. Foto: Valentina Cafarotti e Federico Landi

Italo, la tua personale rientra in un ciclo di mostre che vedono la performatività come elemento centrale, come si relaziona quindi il tuo lavoro con lo spazio espositivo (mi riferisco in particolare alle scomposizioni) e con il pubblico?
Italo Zuffi: Le Scomposizioni sono un ciclo di sculture realizzate tra il 1999 e il 2001, pensate come luoghi intricati per il movimento e che il pubblico era invitato ad attraversare. Grandi maquette di osservatori astronomici si presentano in parte smontati sul pavimento come per l’effetto di una spinta esterna che li ha voluti devastare o quantomeno impedire nel funzionamento. Occuperanno la sala centrale del museo, perché necessitano di quel respiro e anche perché da lì offriranno chiavi di lettura per altre opere in mostra. Rispetto ai miei lavori di performance, sento che in genere cerco delle forme “moderate” di esecuzione, e c’è più emotività che ricerca di relazione con lo spazio. La performance è comunque una modalità che ho esplorato a lungo e soprattutto negli ultimi anni, e nel dialogo avuto con i curatori c’era molta consapevolezza di questo in funzione del progetto espositivo.

Italo Zuffi, Fronte e Retro al MAMbo, Foto: Valentina Cafarotti e Federico Landi

Perché il titolo “Fronte e retro”? Da dove deriva la possibilità di interpretare la mostra come una “doppia mostra” oltre al fatto che sarà esposta in due luoghi differenti?
I.Z.: A Palazzo De’ Toschi è presentato un nucleo di nuove opere. Al MAMbo invece, con intenzione chiaramente retrospettiva, una selezione di opere realizzate in anni precedenti, a partire dal 1997. Il titolo scelto, unico per le due sedi/mostre, in questo modo sintetizza fedelmente il concetto espositivo e il modo in cui la separazione tra il “già fatto” e “l’attuale” è stata concepita.

Italo Zuffi, Foto Margherita Morgantin

Come hai vissuto questo ritorno a Bologna con una mostra personale in una istituzione come il MAMbo?
I.Z.: Al MAMbo ero stato invitato non molto tempo fa, con una serata di lettura di miei testi nell’ambito del progetto Nuovo Forno del Pane. In mostra al museo ci sono opere realizzate nel corso di 25 anni, anche di un periodo in cui ho lavorato spesso con le immagini. In questo modo lo sguardo d’insieme offerto sulla mia ricerca, attualmente fatta di scultura, performance e scrittura, si completa. Riesaminare la mia produzione, anche attraverso nuove associazioni, mi ha fatto ripensare alle persone con cui sono entrato in dialogo lungo la mia ricerca e che, soprattutto a distanza di tempo, mi hanno aiutato meglio a comprenderla. Hanno prodotto qualcosa di fisico quelle relazioni, che si è legato in maniera forte alle opere: il modo di sentire queste persone e di raccontarle le ha anche collocate più liberamente nel mondo. Torno quindi a Bologna, dove ho studiato e dove ho anche sperimentato con le prime mostre, riconoscendo il debito formativo che ho verso questa città.

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