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Cancellazioni e citazioni in mostra: intervista ad Andrea Mastrovito
Arte contemporanea
Andrea Mastrovito è uno dei vincitori del premio Italian Council, programma di promozione di arte contemporanea italiana nel mondo della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, grazie al progetto “I Am Not a Legend”. L’opera video è installata in anteprima presso il Museo di Palazzo Fabroni a Pistoia fino al 10 gennaio 2021, in occasione della mostra “Io non sono leggenda”, dedicata al film in questione ma anche alle opere precedenti legate tra loro dall’estetica e dall’unità fra gli opposti.
I Am Not a Legend è l’opera video nata dal progetto con cui hai vinto, insieme a Casa Testori, la sesta edizione dell’Italian Council 2019. Ci puoi parlare della genesi del progetto?
«Nasce dalla volontà di dare un seguito – anzi un vero e proprio sequel – a NYsferatu, il mio primo film animato che, inizialmente, prendeva piede da una riflessione sul disegno e sulla sua essenzialità nel ricondurre ogni cosa ai minimi termini e poterla quindi comprendere. Col secondo film volevo condurre all’estremo quest’idea, riportando il tutto al foglio bianco. Da qui il passaggio dalla matita alla “gomma”, o meglio alla pittura bianca, che “cancella” man mano i personaggi ed il film stesso».
Il film in questione è il risultato di un intervento diretto sui fotogrammi di Night of the Living Dead di George Romero del 1968. Che processo è stato seguito?
«Dopo aver editato il film ho esportato tutti 9 frames per ogni secondo del film originale, stampandoli tutti in formato a4, sui quali, coi miei assistenti, sono intervenuto dipingendo di bianco tutti gli zombie del film di Romero. In totale sono state utilizzate quasi 100.000 tavole che, una volta scansionate e montate, hanno dato vita a “I am not legend”. Questo è però solo il lato plastico della cancellazione, che a livello semantico avviene anche attraverso la modificazione totale della sceneggiatura originale di Romero: i miei personaggi, difatti, parlano solo attraverso celebri citazioni da film, libri e canzoni. In pratica sono dei profili Instagram o delle bacheche di Facebook viventi».
Quali influenze si possono riscontrare nel film? Perché hai scelto determinate citazioni?
«Per quanto riguarda la cancellazione le influenze maggiori arrivano da Kentridge, da Rauschenberg (col suo Erased de Kooning Drawing), dalla serie Everything will be taken away di Adrian Piper sino alle Marilyn cancellate di Stefano Arienti e naturalmente a La Jena più ne ha più ne vuole, il progetto di film cancellato di Emilio Isgrò. A livello di sceneggiatura, invece, ho lasciato che fosse il mainstream a guidarmi, cercando ed incastrando tutte quelle citazioni che fossero immediatamente riconoscibili ai più, attingendo al cinema d’intrattenimento ed al mondo della musica leggera, anche se in molti punti il linguaggio si alza e si abbassa variando da Dostoevskij a Fantozzi, da Calvino e Primo Levi alle Tartarughe Ninja e i Flintstones, da Sartre e Kubrick a Terminator e ai No Doubt, sino ad una serie di citazioni da E Johnny prese il fucile di Dalton Trumbo, un romanzo (ed un film) che scorre sotterraneo in entrambi i miei film animati».
La mostra “Io non sono leggenda” ospitata a Palazzo Fabroni a Pistoia, aperta dal 26 settembre 2020 al 10 gennaio 2021, nasce per contestualizzare il lancio del film, ma è anche luogo di esposizione del processo di ricerca da te effettuato negli ultimi anni. Qual è il filo conduttore che lega quest’ultima opera alle precedenti?
«Senz’altro l’estetica e l’unità degli opposti. Tutto il mio lavoro nasce da binomi opposti e contrari: disegno/cancellazione, luce/ombra, etc…sino al binomio fondante, vita/morte.
La mostra ragiona su questo concetto sin da L’isola del Dr. Mastrovito, che apre la sezione “di ricerca”: qui gli opposti di realtà e finzione coincidono incontrandosi nella materia stessa di cui è fatta l’opera, quella carta a forma ed immagine di fiore che proprio dal fiore (e quindi dall’albero e poi dal legno) prende vita. Si prosegue quindi con una serie di lavori sul martirio (il martire è la figura che, per eccellenza, trova la vita attraverso la morte) sino ai due lavori che conducono dritti al nuovo film: Johnny, del 2006, perennemente sospeso tra la vita e la morte, e appunto NYsferatu – che deriva appunto da “nosferatu”, ovvero “non-morto”».
Da cosa nasce l’esigenza di riflettere sulla figura dell’antieroe?
«Penso che la condizione di outsider, di underdog mi sia sempre appartenuta per il mio vissuto, sin dalla giovinezza. E la figura dell’antieroe è quella che meglio rispecchia i nostri tempi e soprattutto quest’ultimo terribile anno, dove tutti agiscono nel silenzio, all’ombra, sottotraccia: il virus che attacca invisibile, le vittime che lottano e muoiono lontano da tutti e gli infermieri ed i medici che, una volta finita l’emergenza, vengono dimenticati. Ci aggiungerei anche e soprattutto i ricercatori che, chiusi nei laboratori, fanno di tutto per trovare una soluzione. Direi che il mondo è oggi una grande galleria di antieroi…».
Cosa ci puoi raccontare riguardo al libro nato da questo progetto?
«È un libro molto particolare in quanto, data la natura dell’opera che documenta – I am not legend – si è deciso di dargli la forma di un fotoromanzo, con tutte le inquadrature e le battute/citazioni svelate del film. È un ottimo strumento di analisi dell’opera, soprattutto grazie ai fantastici saggi che lo accompagnano, ad opera di Leora Maltz-Leca, Stefano Leonforte, Stefano Raimondi e Davide dall’Ombra».