Il collettivo di tre artisti a viso coperto nasce a Milano nel 2007. Dal muro alla tela, passando dalla pelle umana alla video arte, la produzione di CANEMORTO fruga la polpa viva dell’arte per estrarne, più levigato e più duro, l’osso dell’anima.
Genuini e brutali, adepti fedeli alla Txakurra, i CANEMORTO si configurano come un fenomeno assoluto nel variegato panorama dell’arte contemporanea mondiale, e si raccontano per The Underground, la nostra guida all’arte diffusa al di là dei circuiti convenzionali.
Chi è Txakurra?
«La Txakurra è una divinità maligna dalle sembianze di un cane morto. Ci è apparsa nel 2007 e da allora ci sforziamo di diffondere il suo culto in ogni modo possibile».
Vi hanno spesso paragonati alla pittura informale astratta in particolare a Fautrier, Dubuffet e Gorky. Ci sono davvero degli artisti o movimenti che vi hanno influenzato?
«Certo, la pittura è sempre stata la nostra ossessione principale e nel corso degli anni abbiamo assorbito le influenze più disparate, dall’arte primitiva a quella contemporanea, con un occhio di riguardo a tutto ciò che è considerato outsider».
Nel video di Toys esplorate con il linguaggio della strada la linea di confine tra purezza artistica e mercato. Quanto è difficile restare fedeli alla linea?
«Si tratta di un concetto molto complesso e ambiguo. Una linea demarcata non esiste, ogni artista può tentare di tracciarla o anche evitare del tutto di porsi il problema. Nel nostro caso ci affidiamo unicamente al volere della Txakurra».
Arte urbana: un concetto controverso. Nella contrapposizione tra writing e street art, CANEMORTO è sempre stato chiaro nel gridare “non prendo soldi dalla strada”. Cosa ne pensate delle possibili contaminazioni tra i due ambiti?
«In realtà diffondere una fede religiosa comporta dei costi molto alti, perciò abbiamo sempre tentato di prendere soldi da tutte le parti. Per quanto riguarda le contaminazioni tra i due mondi, a nostro avviso ce ne sono pochissime valide e tantissime di dubbia qualità».
Nella vostra carriera vi siete destreggiati stupendamente tra happening, video, graffiti, scultura, pittura e tattoo. Tra le vostre performance più originali, la Pizzeria da Canemorto, come è nata questa idea?
«Nel 2017 siamo stati invitati a fare una mostra personale a Kapow, un’associazione culturale di Gent, in Belgio. Dopo aver visto lo spazio espositivo, ci siamo messi a scherzare tra di noi perché sembrava una pizzeria d’asporto. A questo punto abbiamo deciso seriamente di trasformare il posto in una pizzeria d’asporto, ci siamo procurati un forno e per due giorni abbiamo impastato e sfornato pizze-sculture a forma di teste di cane. Probabilmente molti abitanti del quartiere pensano ancora che sia stata una pizzeria eccentrica fallita molto in fretta. L’anno scorso il progetto si è evoluto in una nuova versione: Osteria da Canemorto».
Tra le ultime fatiche del trio la collaborazione con Egreen per il suo ultimo album mixtape I SPIT VOL.2 per il quale hanno curato comunicazione, grafica e concept muovendosi con una vera e propria street promo che ha invaso la città di Milano. In un mondo che rincorre un’ideale di bellezza evanescente e irraggiungibile, CANEMORTO ci fa scoprire la bellezza primitiva e innata delle cose.
«È inutile che lo spettatore cerchi nella visione di un’opera d’arte qualcosa che lo consoli. Troverà solo qualcosa che lo dilanierà. Starà a lui decidere come adoperarlo», Lea Vergine (1936 – 2020).
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