«Sono grata a Bvlgari perché questa alleanza è un lavoro di scavo nel talento dei giovani esponenti dell’arte contemporanea, che consente al MAXXI di svolgere una funzione decisiva per la nuova generazione dell’intero sistema artistico italiano» ha commentato così Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI.
Per il secondo anno consecutivo MAXXI e BVLGARI si uniscono nel MAXXI BVLGARI PRIZE per sostenere e promuovere i giovani talenti a livello internazionale. Il premio è un appuntamento unico in Italia per il consolidamento del percorso degli artisti finalisti, valutati da una giuria internazionale che nominerà il vincitore, il cui lavoro verrà acquistato dal MAXXI per incrementare la collezione permanente. I tre finalisti dell’edizione 2020 sono Giulia Cenci, Tomaso De Luca e Renato Leotta. A loro è dedicata la mostra nella Galleria 5: un canale di snodo multiforme che fa provare al visitatore la sensazione di essere sospeso nello spazio sottostante, sia interno al museo che esterno.
«Il MAXXI BVLGARI PRIZE è uno dei progetti più complessi del MAXXI perché ha a che fare con delle opere in fieri, seguendo la produzione e l’installazione, il dialogo dell’opera con lo spazio. Il mio compito è stato quello di affiancare gli artisti, sostenerli nelle loro idee rendendole poi attualizzabili. Come le corde di un violino, ci siamo trovati: ho cercato di armonizzare la loro presenza nello spazio attraverso un lavoro puntuale con l’architetto designer della mostra e attraverso una serie di interviste che ho fatto loro una volta a settimana da marzo a fino luglio. Mi è sembrato il modo più corretto di procedere, non potendo seguire gli artisti da vicino» ha raccontato Giulia Ferracci, curatrice del MAXXI BVLGARI PRIZE 2020.
L’esposizione esordisce nella hall e si sviluppa lungo il percorso delle scale a forma di nastro di möbius con Lento-violento, l’istallazione monumentale di Giulia Cenci. Dal soffitto, pendono nuclei scultori tratti da calchi di volti, corpi di animali e oggetti di recupero: «la scelta di creare porzioni anziché elementi interi, riflette la precarietà del momento storico che tutti noi viviamo, in cui siamo costretti a limitare azioni, desideri e spostamenti. È come se fosse una vita a metà, non pienamente vissuta così come i calchi che ho realizzato. Ho lasciato che lo spazio del museo e le sue superfici in movimento mi aiutassero a concepire varie scene e momenti del mio lavoro. L’opera è stata sviluppata nel corso di dieci mesi e ha mutato la sua forma, assumendo nuove caratteristiche e vivendo anch’essa il lockdown» ha raccontato Giulia Cenci che ama lavorare sul confine-limite che intercorre tra mondo umano e animale, tra architettura e spazio urbano. Usa spesso elementi di metallo che tengono insieme le sue figure, sono interdipendenti l’uno dall’altro come se fossero linee guida e al tempo stesso estensioni dell’opera. L’intento ultimo è quello di mostrare il dietro le quinte di come il reale ci appare.
La scritta MAXXI BVLGARI PRIZE 2020 color viola fluo segna l’ingresso della galleria 5, da cui la mostra procede con A Week’s Notice di Tomaso De Luca: un film a tre canali e un’installazione sonora. Tre immensi schermi pendono dall’alto in uno spazio dalla superficie multiforme, ciò che mostrano sono case che volano, crollano e impazziscono. Elogiano il disfacimento dell’architettura, rappresentano la bellezza dell’instabilità e traghettano il trauma in un territorio di creazione. «Il mio lavoro è un tentativo di riscrittura del fenomeno della gentrificazione successivo alla crisi dell’AIDS tra gli anni ‘80 e ‘90, quando la comunità omosessuale scompariva dai quartieri delle grandi città e il mercato immobiliare viveva quella strage come un’opportunità di investimento. Lo scopo ultimo di A Week’s Notice è riscrivere un finale, dando una possibilità di bellezza a un trauma sociale e storico con la gioia di far rinascere queste case in un’architettura diversa che vola, si spezza e mal funziona». L’artista così racconta il senso del suo lavoro, terminato a fine febbraio 2020, poco prima che l’Italia e il mondo intero conoscessero un nuovo tipo di pandemia e la relazione intima con lo spazio domestico.
La mostra chiude con un climax che è l’atmosfera metafisica rarefatta pensata da Renato Leotta in Roma e Fiumi, una passeggiata ideale tra i siti archeologici e le rovina della città. All’artista non interessa tanto presentare il gatto come animale ma nel rapporto che l’animale ha con l’uomo. Dodici schermi distribuiti nella sala in ordine sparso, a evocare proprio una passeggiata tra le rovine di Roma, trasmettono dei film girati in pellicola 16 mm tra le fontane della Barcaccia, Trevi, Quattro Fiumi e l’Area Sacra di Largo Argentina. È proprio qui che si concentrano le riprese sui gatti, di cui Leotta registra soprattutto la loro esistenza dentro Roma. L’excursus espositivo termina in una reading room, uno spazio di approfondimento delle diverse fasi del lavoro che hanno condotto gli artisti fin qui. Ai quali non possiamo che augurare buona fortuna!
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